martedì 10 febbraio 2009

Gli amici che non hai e la non selezione innaturale

Sono diversi giorni, ormai, che l'Italia parla quasi solo di una persona e credo che ieri sera ogni fonte di informazione (mah...) abbia "banchettato" di una sola notizia: una morte.

Tutti hanno voluto dire la loro, far proclami, lanciare anatemi... qualcuno ha dimostrato che ci sono cose intollerabili per certe persone, prima fra tutte, perdere... altri hanno ribadito il concetto che, se l'arbitro ha già fischiato tre volte, cambiare le regole del gioco non cambierà il risultato di quella partita.
Molti hanno detto tutto ed il contrario di tutto. Qualcuno ha avuto il buon senso di stare zitto... ma putroppo sempre troppo pochi.
La cosa che più mi ha dato fastidio, è che tutti sono diventati amici di una persona che non li ha mai conosciuti.

Il nome delle cose è importante, ed ancora di più lo è il nome delle persone, tanto che, a mio avviso, agire con cattiveria su un nome è un chiaro segno di disprezzo della persona... ma ci può essere altro oltre la cattiveria.

Bene o male, credo che tutti abbiano proprietà del concetto che una persona trae identità anche dal proprio nome, e mancare di rispetto al nome è un mancare di rispetto alla persona.
Io posso rivolgermi tranquillamente a qualcuno usando un diminutivo, un vezzeggiativo o un soprannome se sono in confidenza con quella persona, se mi autorizza o se è un personaggio pubblico ed uso il suo "nome di battaglia". Se mancano queste condizioni, usare un soprannome dimostra arroganza, forse, se non addirittura esplicito disprezzo o mancanza di riconoscimento della significatività altrui.

Al che mi chiedo, che diritto aveva, tutta quella gente, di dare del tu ad una persona che non ha mai conosciuto? Di usare dei soprannomi che, magari, neppure i suoi amici usavano?
Tutti questi "amici", che senso avevano? Che senso hanno gli amici che non hai e che magari neppure vorresti?
Eppure succede continuamente: qualcuno si comporta come se conoscesse una persona da sempre, pur non avendola mai vista nè conosciuta... E' l'assurdo quotidiano, sempre più quotidiano, di un'epoca come la nostra in cui "esserci" è più importante financo del motivo per cui uno dovrebbe esserci.

A parte questi sconosciuti amici, quelli che non hanno una vita vera e cercando di entrare in quelle degli altri, i benpensanti, i malpensanti, i paladini, i crociati, i sofferenti, i martiri, i calcolatori che usano tutto e tutti, gli sciacalli ideologici e tutto quello che, più o meno inutilmente - ed a tratti, per me, anche disgustosamente - è girato attorno alla vicenda, ogni tanto qualcuno ha provato timidamente a sollevare un angolo della coperta che è il vero problema, ma mi è capitato di sentire nessuno che affrontasse veramente la questione dicendo le cose come stanno.
Una persona ha scatenato un putiferio, secondo qualcuno, ma in realtà il problema non era lei, ma bensì la fine della selezione naturale.

Tutto quello che è successo, e non è successo, in questi giorni è stato legato ad una persona che è morta dopo essere rimasta in vita (almeno fisiologicamente) a lungo... forse, troppo a lungo.
Questa persona ha subito un danno fisico, quasi vent'anni fa, e la medicina ha fatto in modo che rimanesse in vita... Se un evento analogo si fosse verificato venti anni prima, neppure una nota di questo surreale can can sarebbe stata suonata: i danni subiti da quella persona sarebbero stati fatali e si sarebbe rapidamente spenta, senza santi e diavoli dell'informazione a ballare attorno al suo letto.

Io più di una volta ho pensato, e sostenuto apertamente, che la nostra specie ha avuto la "brillante" pensata di prendere la selezione naturale e defenestrarla con lo sviluppo della scienza medica.
A volte è un bene, non dico di no, e dobbiamo essere grati all'ingegno della nostra specie (senza medicina, probabilmente, io stesso non sarei qui ora: forse, un secolo fa, senza gli antipiretici sarei morto a causa della febbre alta portata dal morbillo quando ero piccolo), ma a volte sembra essere l'idea peggiore che i nostri predecessori potessero avere.
Il passato recente, ed il futuro, non evoluzionistico della nostra razza (che, per altro, credo siano una considerazione che anche altri, più autorevoli di me, hanno formulato e che, forse, anche il buon Darwin sarebbe costretto a riconoscere), però, non arriverebbe ad avere ripercussioni tanto forti sulla nostra società se non fosse per la surreale gestione delle informazioni e per la mancanza di parallelismo tra l'evoluzione tecnica e culturale della nostra forma di vita.

Il problema vero, in un caso come questo, probabilmente non è che la medicina ci ha consentito di garantire la sopravvivenza (ed, a volte, la riproduzione) a soggetti che avrebbero dovuto essere un ramo estinto, non vincente, della nostra genealogia genetica, ma il fatto che la nostra concezione culturale della nostra specie non si è evoluta rapidamente come la nostra conoscenza del mondo.

In buona parte del mondo, le convinzioni culturali ed etiche della maggioranza della popolazione non si discostano molto da quello che era il set morale e culturale di mille/millecinquecento anni fa, e poco importa che il nostro livello tecnologico ci renda paragonabili a quelli che i nostri noi stessi dell'epoca avrebbero considerato maghi, angeli, santi, diavoli o dei.
Abbiamo raggiunto il potere, abbiamo allargato i nostri orizzonti, eppure, non abbiamo ancora cambiato modo di navigare... non so se ho ragione o meno, ma ho sempre più spesso il sospetto che questo scenario non sia l'apice della saggezza che la nostra specie può esprimere.