lunedì 19 settembre 2011

Life is a highway

Sono morto? No, decisamente no: ci sono ancora e ancora misuro a lunghi giri di contachilometri le strade ed autostrade italiane...

Come quasi ogni lunedì mattina, stamattina sono montato in auto (prima dell'alba) muovendo alla volta del mio alpeggio tecnologico.
Guidare nell'oscurità ha i suoi vantaggi: meno gente in giro, tempi di percorrenza leggermente inferiori e - il lunedì - la possibilità di riuscire ad arrivare in ufficio in tempo per partecipare almeno ad uno scampolo di riunione di pianificazione settimanale.

Ci sono però anche degli svantaggi.

Il primo e più importante è che la stanchezza ti raggiunge molto più velocemente: ormai mi sono fatto l'idea della stanchezza come di un auto che mi segue, specie quando sono in A22, ed ha targa tedesca...
Già, tedesca perchè così se ne può fregare del limite dei 130, può cominciare da lontano a sfanalare istericamente e per finire può sorpassarti con un rumore sibilante ed uno spostamento d'aria che ti fa sbandare leggermente.
La stanchezza, in fin dei conti, quando ti prende in autostrada ti fa percepire esattamente gli stessi sintomi: ogni luce nello specchietto retrovisore è più fastidiosa, le ruote che sfiorano la riga laterale producono un suono sibilante ed ogni volta che lo senti hai un leggerissimo "sbandamento" per rimetterti in carreggiata.

Resta che, per stare più sveglio, le soluzioni sono tre: musica (rigorosamente carica), zuccheri e - nei casi più gravi - caffè.

In queste ultime settimane, ad accompagnarmi nei miei viaggi ci sono prevalentemente i brani di alcuni giovani "artisti indipendenti" americani e l'immancabile (se come me si vive in autostrada) colonna sonora di Cars della Pixar, ed ogni volta che la sento, a parte tornarmi la voglia di realizzare il mio sogno di un coast-to-coast on the road da Montreal a San Francisco, mi rendo conto che la mia vita è un'autostrada (come la raccontano di Rascal Flatts perchè l'originale di Tom Cochrane che non l'ho ancora mai ascoltato).

"Life is a highway"
Life's like a road that you travel on
When there's one day here and the next day gone
Sometimes you bend, sometimes you stand
Sometimes you turn your back to the wind
There's a world outside every darkened door
Where blues won't haunt you anymore
Where the brave are free and lovers soar
Come ride with me to the distant shore
We won't hesitate, to break down the garden gate
There's not much time left today

CHORUS
Life is a highway
I want to ride it all night long
If you're going my way
I want to drive it all night long

Through all these cities and all these towns
It's in my blood and it's all around
I love you now like I loved you then
This is the road and these are the hands
From Mozambique to those Memphis nights
The Khyber Pass to Vancouver's lights
Knock me down get back up again
You're in my blood I'm not a lonely man

There's no load I can't hold
Road so rough, this I know
I'll be there when the light comes in
Tell 'em we're survivors

CHORUS x2

There was a distance between you and I(between you and I)
A misunderstanding once but now
We look it in the eye

There's no load That I can't hold
Road so rough this I know
I'll be there when the light comes in
Tell 'em we're survivors

CHORUS x3

Rascal Flatts - Cars Original Soundtrak (2006)

martedì 5 luglio 2011

I tempi della migrazione

Sono alcuni giorni che sto lavorando alle elaborazioni per la migrazione dati che dovremo fare per un cliente al lavoro.

Scrivere procedure che manipolano centinaia di migliaia di record è una cosa che mi da soddisfazione: produrre codice che poi, alla pressione di un solo tasto, prende e comincia a spostare da un lato all'altro degli archivi quantità più che industriali di dati combinandoli, riorganizzandoli, riclassificandoli, è in certo qualo modo esaltante; mi da il senso di saper fare qualcosa e saperla fare bene, anche perchè pure quando quelle procedure contengono degli errori, sono in grado - dopo un indispensabile giro di test - di locallizzarli e rimuoverli.
Però c'è una cosa che non mi riesce di fare al meglio... una cosa che mi innervosisce e mi sconforta e che temo sia collegata ad un difetto che ho sempre avuto: le mie procedure non sempre sono ottimizzate in termini di performance. Una procedura che manipola mezzo milione di record, con il sistema che usiamo, se è nelle condizioni ottimali può cavarsela anche con pochi secondi, ma se le condizioni non ti aiutano possono volerci ore. E' sempre possibile ottimizzare le cose, ridurre i tempi, mettersi in condizioni tali per cui il risultato sia accessibile in pochi minuti, ma per fare questo i minuti che servono sono parecchi di più, se la cosa non è già nata con un occhio all'orologio e con in mente un quadro semplice di passaggi, ed io, che in questo progetto ci sono entrato in corsa, non ho il quadro generale... me lo sono ricostruito, sia chiaro, ma questa cosa non è il massimo: io già di mio ho l'incredibile capacità di trovare sempre la via più complicata per fare una cosa (che spesso è anche estremamente generica e flessibile, per carità, ma meno una cosa è specializzata e meno sarà ottimizzata, di solito), figuriamoci se le mie sono le ennesime mani a tocchicciare un progetto, nato in un modo, ripensato in un secondo momento a seguito di notizie venute fuori solo a cose fatte, ecc, ecc...

Oggi sto tirando accidenti su una procedura che mi fa impazzire: è una migrazione dati che, lanciata sull'ambiente di produzione ieri, se l'è cavata con due ore di elaborazione (per un totale di record toccati superiore al milione), ma, assurdamente, lanciata sull'ambiente di test (che è la replica di quello di produzione) stamattina ha già raggiunto e superato le tre ore di elaborazione.
So già che mi aspettano ore a spaccarmi la testa per far scendere quei tempi di almeno un ordine di grandezza, magari di notte e portandomi a far diventare il problema molto più che non una semplice questione pratica, ma resta che una domanda fluttua sulla mia testa: semplicemente perchè tanta differenza? La risposta la intuisco (questioni di cache) ed una parte di me vorrebbe approfondirla, ma un'altra parte vorrebbe semplicemente risolvere il problema, portando i tempi della migrazione ad essere tanto ridotti da rendere ininfluenti questi aspetti tecnici.
Non so se ci riuscirò, ma un obiettivo bisogna pur averlo...

Resta che un angoletto sarcastico del mio cervello genera una domanda: vale la pena di perdere tanto tempo per ridurre il tempo che impieghi per una cosa?

domenica 26 giugno 2011

Frammenti di un altro me

Il mio trasloco non è ancora definitivamente concluso. La mia stanza, a casa dei miei genitori, conteneva tante di quelle cose che trasferirle tutte nella mia abitazione è un'impresa.
Se devo essere sincero, sono un po' deluso da me stesso: anche in questo la mia natura di ossessivo compulsivo a tratti mi ha perseguitato.
Da quando casa mia è arredata, ho trasferito i miei libri, i miei fumetti ed una parte, non trascurabile, dei miei vestiti, ma inizialmente l'obiettivo era di traslocare tutti i miei averi in quattro mesi ed io, a sette mesi di distanza, non l'ho raggiunto. Dopo un mese e mezzo sembrava un'impresa assolutamente fattibile, ma poi l'ossessione è fuggita, ed i tempi si sono dilatati.
L'obiettivo dei quattro mesi era un desiderio di riaffermare la mia differenza rispetto a mio fratello, che a quattro anni dal suo matrimonio aveva ancora delle cose a casa dei nostri genitori, e per quanto non sia felice del mio mancato successo, conservo l'intento di farcela in molto meno tempo di lui.

Questa sera, però, sistemando alcune delle cose che ho portato in casa, ho voltato pagina su un mio passato remoto.
Di certe cose non riesco a liberarmi, come quel "Non siamo gemelli: abbiamo un anno, un mese, un giorno, tredici ore e cinque minuti di differenza!" che è il ritornello, che mi sono scritto da bambino, per rispondere a quelle signore che, guardando me e mio fratello, chiedevano se eravamo gemelli.
Altre, che risalgono a pochi anni dopo, le ho salutate questa sera.

Tra le cose più importanti e recenti che avevo da smistare ed ordinare, c'erano fotopie ed appunti dei tempi dell'università... ho deciso di liberarmene, ma al contempo ho deciso di acquistare e rileggere alcuni dei libri che avevo incrociato sul mio cammino di studi.
Molto più datate, tra le cose della mia infanzia, ho ritrovato pagine di vecchi diari: un primo tentantivo risalente a quasi ventuno anni fa, ed uno di quattro o cinque anni dopo.
Nel primo caso, si trattava di pagine scritte come fossero lettere rivolte ad un amico lontano, un amico che aveva anche un nome (Johnny 5... quanto tempo è trascorso dal giorno in cui decisi quel nome!) mentre, qualche anno dopo, si era trattato di un vero e proprio diario.
Poche pagine per volta scritte a mano, discontinue, incostanti come sempre sono state le cose di questo genere che ho fatto. Eppure in quelle pagine c'erano i sentimenti ed i pensieri di un altro me stesso, di uno talmente remoto che neppure so se mi riconoscerebbe per la sua versione più anziana se mai mi incontrasse.
C'erano sentimenti confessati e respinti da amori giovanili, e c'erano sentimenti - seppur lontani - più recenti e legati a persone a cui ancora, anche se in un modo molto diverso, voglio bene.
Ho deciso di non conservare quegli scritti; mentre lo decidevo una parte di me voleva ribellarsi, eppure ho deciso di farlo.
Forse tra qualche anno continuerò a dirmi di essere stato uno stupido impulsivo prendendo quella decisione, che avevo rimandato di volta in volta per oltre quindici anni, ma ho agito come sempre, quando si tratta di cose che mi suscitano forti sentimenti: ho seguito un impulso e - poco dopo - me ne sono pentito, ma quando l'azione irreparabile era già stata compiuta.
A posteriori, mi sono detto di aver fatto male a rinunciare alle prove tantigibili di quel remoto passato, ma una parte di me ha analizzato la cosa, e se n'è uscita con una soluzione: il tempo passerà ancora, e quegli scritti lasciati su una mensola per tanti anni, saranno un evento tanto remoto da essere pressocchè dimenticato, ma sono esistiti e mi hanno consentito di definirmi per come sono; anche se scordati, anche se ad anni di distanza, essi avranno contribuito a fare di me la persona bizzarra che so di essere, quindi, anche se non sono più fisicamente con me, restano una parte di me e del mio passato.

venerdì 24 giugno 2011

Morte e resurrezione digitale di un fisico modenese

Periodicamente ho la brutta abitudine di "morire" nel mondo digitale.
La definizione può sembrare forte, ma come definire una persona che non da più segni di vita se non "morto"?

La mia vita a 0 e 1 ha seguito, negli ultimi anni, cicli che si sono fatti via via più lunghi: fino a quattro anni fa, controllavo le mie caselle di posta elettronica anche tre volte al giorno e rispondevo ad una mail entro le successive sei ore, avevo cominciato questo blog postando ogni giorno, ad un ritmo pazzesco.
Poi c'è stato uno scossone nella mia vita, e qualcosa è cambiato nel mio modo di relazionarmi a certe cose che prima erano quotidiane, fondamentali nella mia vita digitale.

Ho smesso di scaricare la posta elettronica. Ho passato mesi interi in cui non accedevo ad un account email neppure per cancellare lo spam. Ho smesso di scrivere sul blog, ho smesso di seguire certe cose. Ho smesso di svolgere certe attività...
C'è stato un periodo in cui accedere alla posta elettronica mi dava proprio fastidio, e mi infastiva l'idea di essere infastidito dal vedere messaggi elettronici.
Sicuramente la cosa era legata a quello scossone che mi ha allontanato da certe cose a cui tenevo e che è arrivato, in certa parte, nella mia vita via mail.

Il ciclo è durato un po' e si è concluso con una scarica di voglia di tornare on line, di mettersi in pari con certe cose, di riprendere a fare.
Una scarica e poi più nulla per un lungo periodo.
E poi una nuova scarica, ed un nuovo periodo, e poi ancora e di nuovo. Ogni volta il periodo no era più lungo, ogni volta c'era maggiore disagio all'idea che anche solo esistessero dei miei account di posta elettronica che avrebbero reclamato la mia attenzione.

Qualche tempo fa ho deciso di voltare pagina.

Nell'ultimo anno / tredici mesi, nella mia vita sono successe una serie di cose che non credevo si verificassero tutte in un colpo. Alcune credevo non si verificassero affatto!
Alcuni cambiamenti sono stati gradevoli, e mi hanno messo un po' in pace con certe cose che prima non sopportavo più.
Altri, purtroppo, no... e questi mi hanno fatto litigare anche con altre cose che consideravo fondamentali della mia vita. Eppure questa volta è diverso: questi "allontanamenti", questi "disagi" riguardano cose troppo importanti per la mia esistenza per accettare che un semplice evento no possa intaccarli.

La mia vita nel mondo reale è cambiata tanto e sta continuando a cambiare. Ci sono momenti in cui mi chiedo se avrei mai creduto possibile trovarmi a questo punto due anni fa, come adesso: sono nello studio di casa mia, gli scuri del balconcino chiusi perchè a quest'ora ci batte il sole, un po' di noia all'idea che dovrei lavare i pavimenti questo week-end e, forse, dovrei cambiare il copriletto mettendone uno più leggero, ma ignoro questi dettagli, faccio un passo indietro e guardo il quadro generale, noto solo che è casa mia! E non importa niente se dovrò continuare a pagare il mutuo per altri dicianove anni e rotti: questa è casa mia! Non sarà questa per tutta la vita, forse / probabilmente, ma per ora va bene così.

Ho deciso che certe cose della mia vita devono cambiare. Alcuni cambiamenti non vorrei farli ma mi tocca sacrificare dei pezzi - che pure vorrei tenere e li sacrifico a malincuore - per poterne tenere altri che hanno un diritto antecedente, una storia ed un peso maggiore.
La mia vita cambia, cambierà perchè ho deciso che certe cose devono cambiare.
Non è detto che cambi tutto, nè che cambi tutto d'un colpo, ma di sicuro, certe cose cambieranno.