mercoledì 17 novembre 2010

I milanesi bauscia

Questa sera, a cena, ho avuto a che fare con alcuni degli aspetti che più mi preoccupano di certa gente di questa città.
Ero a cena in un ristorante, come quasi sempre solo, ad un tavolo in angolo nella sala sull'ingresso del locale. Quando mi sono seduto, nella stessa sala c'era solamente un altro tavolo occupato: due donne, sulla trentina (fa strano dirlo, visto che "sulla trentina" ci sono anche io...), ben vestite ma non troppo eleganti... probabilmente due amiche a cena assieme dopo una giornata di lavoro (ma lavori in uffici diversi).
Una delle due non la si sentiva quasi parlare, l'altra era un continuo fuoco di fila delle più becere psicobanalità e postyuppimi: parlava del suo uomo, uno che vive fuori Milano ma lavora in città, di come ha costruito un passo alla volta il loro rapporto, di come lui viva la loro relazione, di come questo rapporto interagisca con le figure maschili della sua vita, di un padre presente ma emotivamente sempre molto distaccato... e del lavoro con una consulenza per rilanciare l'immagine di una piccola azienda creativa nel settore del "branding" (!?!?), con il progetto di farla ripartire con l'obbiettivo di renderla appetibile per una cessione entro cinque anni (vista l'età dei soci ultra sessantenni...), ecc, ecc, ecc... In poche parole, il più patetico monologo di una che "ci crede davvero". Una che Milano e la peggiore (almeno dal mio punto di vista, forse troppo provinciale, ma pur sempre mio) "milanesità" ce l'ha nelle vene, nel midollo, nel DNA.
A dare una degna nota di contorno a tutto questo, l'arrivo di una coppia di giovani (venticinquenni?) con velata ostentazione di ricchezza familiare e due "mignottoni" (anche se la definizione non è mia la trovo abbastanza adeguata) al seguito ed un ragazzo (probabilmente l'autore della succitata definizione), di quelli che li senti parlare e sono i tipici figli di papà (questo aveva l'aspirazione di andare ad aprire un locale in Argentina!!!), probabilmente anche lui nella prima metà dei trenta, che poi è stato raggiunto per cena dal padre e da un amico del padre: uomini di mezza età, giacca e cravatta d'ordinanza, aria da manager per nulla velata e neppure un gesto per fermare i pacchiani riferimenti a chi dei due avesse più soldi che il ragazzo faceva.
Tutto questo, non in un ristorante di lusso, ma in un ristorante/macelleria... Ok, lo ammetto, in Moscova a Milano, nella zona di Brera, dove probabilmente tutti sono più fighetti di quanto io sarò mai in vita mia, ma non sono stato io a trovare l'albergo (ed il ristorante era a due passi... nel vero senso della parola...).

Nel mio angolino, mangiando la mia svizzera con la scamorza, osservavo la scena come uno spettatore al cinema, e suscitavo una nota di velato stupore nei camerieri quando li ringraziavo mentre mi portavano via il piatto vuoto: probabilmente qualcuno si può disabituare al più banale gesto di cortesia (o anche solo al fatto che un avventore possa prendere coscienza del fatto che esisti e stai lavorando per lui).

Questa sera probabilmente sono stato quasi al limite: più che in tutte le altre sere in cui, seduto da solo in un ristorante, ho dovuto involontariamente assistere a qualche conversazione banale, sono stato sul punto di alzarmi e urlare in faccia a quella gente che dovevano smetterla di prendersi sul serio.
La tizia delle psicociance è stata quella che mi ha urtato di più il sistema nervoso ed è stata ad un nanosecondo dal sentirmi sbottare esasperato: invece che farsi inutili seghe mentali sul rapporto con il suo uomo avrei voluto dirle di cominciare a vivere quel rapporto per quello che è, e se non va, non psicanalizzarsi troppo ma cercare di vivere di più, senza cercare di ottimizzare la logistica dei suoi rapporti di coppia in funzione del lavoro. Ma tra l'altro, cielo misericordioso, chi usa il termine "logistica" parlando di una relazione sentimentale???

Ma cos'ha questa città che fa male alla gente?
Più ci penso, più sospetto che sia qualcosa che è nell'aria... per fortuna, tra qualche ora scappo da questa gabbia di matti e torno a macinare chilometri per l'Italia, riprendendo a respirare l'aria di quei posti dove ti viene un po' più facile non prenderti così tanto sul serio... O forse non è questione di luoghi e il fatto di non prendermi sul serio ce l'ho semplicemente cablato nel mio sistema immunitario?

2 commenti:

la Volpe ha detto...

Molto bello questo pezzo, Angelo. Ma per quanto io e Milano non andiamo d'accordo, forse sei stato sfortunato. Temo che conversazioni come quella tu possa sentirle in tanti posti anche a Modena e Roma. Molte mie compagne di liceo indubbiamente oggi faranno proprio quei discorsi, parleranno proprio a quella maniera.

Giancarlo Giank Angeloni ha detto...

Ti capisco perfettamente, è un problema che capita spesso anche a me, quando giro per lavoro e mi capita magari di andare al ristorante da solo.

E finché si è impegnati a mangiare, il problema non è insormontabile: fisso con attenzione il cibo, le posate in movimento, il bicchiere, e via che il tempo scorre che è un piacere.

Mentre invece si è in attesa che ti servano, eh lì le opzioni sono veramente pochine: si osservano con attenzione spasmodica i quadri, i lampadari, le tende, il pavimento, la pelata incipiente del cameriere (che va da chiunque tranne che da te), si beve spesso per fare una azione qualunque (un po' per darsi tono "no, non credete: non mi sto annoiando"), si fanno giochi di equilibrio poco dignitosi con le posate sul bicchiere...

E infine sì: ci si fa inevitabilmente gli affaracci degli altri, ascoltando le chiacchiere dei vicini di tavolo, magari immedesimandosi, magari un po' arrabbiandosi per le cose che si sentono (magari segnandosi mentalmente appunti per il proprio blog ^_^).

E' normale e forse pure inevitabile: mi capitava lo stesso anche nel periodo che facevo il pendolare sul treno.

Sai, proprio per aver vissuto diverse esperienze simile alla tua, ho da tempo preso la decisione di portarmi sempre appresso un libro, quando so che c'è la possibilità di mangiare da solo (anche in pausa pranzo).
In questo modo, evito di incacchiarmi per i discorsi degli altri, 'ché già ne ho abbastanza di pensieri nella mia vita, e non ho certo bisogno di "arrabbiature extra" ^_^.
In questo modo dell'esperienza culinaria solista mi rimane sempre un buon ricordo, legato magari ad una bella lettura.
Personalmente, ho riscoperto il piacere della lettura, proprio grazie alle tante mangiate da solo.

Poi, il livello dei discorsi dei vicini di tavolo, aiuta molto, questo è vero, ma questo è tutto un altro discorso! :-)