mercoledì 19 agosto 2009

I giochi dello zio ed il calderone rosso

La mia camera è un cantiere.
In realtà non ha mai smesso di esserlo da tre mesi a questa parte, da quando, cioè, mio padre ha reimbiancato casa e la mia camera ne è uscita rivoluzionata.
Intendiamoci, le cose da fare, per completare il lavoro, non sarebbero neppure tantissime: dovrei riorganizzare della roba su alcune mensole della libreria e dovrei sistemare il contenuto di un paio di mobiletti, ma per farlo serve tempo (merce rara) e la volontà di farlo (merce due volte più rara: sono mesi che, quando torno a casa reduce da giornate massacranti al lavoro, la mia voglia di fare è azzerata e mi riduco ad una larva stanca che ricarica le batterie facendo cose poco significative).
Ciò nonostante, stasera mi sono dovuto attivare ed ho smobilitato l'ennesimo pezzetto del cantiere.
Il motivo è banale: le ultime due cassette che contenevano materiale della camera servono a mio padre, che domani andrà a compare i pomodori per fare la Salsa.
Il risultato è che, filtrando alcune di quelle cose, che in passato vivevano sulle mensole in camera mia, alcune le ho avviate alla casa di mio fratello, sperando che mio nipote le apprezzi e le sfrutti più di quanto le avrebbe sfruttate suo zio, che avrebbe tenuto quei giochi, come soprammobili, a prendere polvere.

Pensando al motivo per cui mio nipote sta per ereditare dei vecchi giochi miei e di mio fratello, mi viene in mente una cosa...

In casa mia ci sono alcuni riti che, da un anno con l'altro, scandiscono il passare del tempo; alcuni di questi riti, quando ero piccolo, erano attesi, generavano aspettative, sperenza... erano vissuti come un momento epico.
Le torte di compleanno, i piatti stagionali, il viaggio dai parenti in Campania e Puglia e... la Salsa.

La Salsa era uno dei riti che attendevo di più.
Prima del giorno principale, c'erano due o tre giornate di lavori preliminari, ed il momento che prediligevo era il lavaggio delle bottiglie in cui veniva poi imbottigliata la conserva di pomodoro. Arrivava, quindi, la domenica: una mattina a lavorare di fianco al calderone in cui, prima, sobbollivano i pomodori in acqua (che poi venivano prelevati e passati nel passa-verdure che li privava di semi e pelle), e poi la polpa che veniva messa a sobbollire lentamente fino ad essere prelevata, ancora ustionante, ed imbottigliata. Mio padre imbottigliava e stendeva le bottiglie su un "letto" appositamente predisposto, sul pavimento del garage, con coperte vecchie dove le bottiglie di conserva passavano qualche giorno ad una temperatura tropicale. L'effetto era analogo a quello del passaggio a bagnomaria che alcuni praticano, ma il tutto era molto più lento e molto più coreografico.

Da piccolo, adoravo questa ritualità e mi risentivo per la limitata parte che mi era concessa: ricordo ancora quando cercavo di convincere mio padre che sarei stato attento e non mi sarei fatto male, scottandomi con gli schizzi di concentrato bollente, se mi avesse messo al calderone a rimischiare con il grosso cucchiaio di legno che usava. E ricordo lo spirito di competizione che animava me e mio fratello che ci contendevamo quel ruolo tanto ambito.

Poi gli anni sono passati e quel ruolo è diventato nostro d'ufficio, e col passare del tempo, la mia parte in quella magica ritualità annuale, come in diverse altre, è andata scemando.

Quando lavoravo al bar, negli anni, la mia funzione è stata affidata definitivamente a mio fratello (o a mio zio - aiutante per poter poi essere aiutato quando fosse venuto il suo turno di fare la Salsa) visto che, spesso, la domenica mattina io ero al lavoro.
A ben pensarci, credo che mi spiaccia un po' aver perso quella ritualità, ed il fatto di perderla anche quest'anno - mio padre intende fare la Salsa domenica, quando io sarò a Genova e Laigueglia... -, anche se so bene che, se venissi cooptato per la cosa, poi me ne lamenterei perchè sarei costretto ad una levataccia in uno dei pochi giorni in cui posso dormire...

Il lavoro - prima al bar, ma poi anche l'attuale - mi ha allontanato anche da un altro rito: quello del viaggio dai parenti.
Sono anni, ormai, che la decina di giorni d'agosto passati "giù" mi vedono latitante, incatenato al lavoro senza possibilità di svincolarmi.

Mi chiedo quanto, di questi riti perduti della mia infanzia, mi manchi realmente e quanto, il fatto che non vi prenda parte, mi allontani da quello che ero...
Forse è normale: crescendo le cose cambiano... ma a volte mi chiedo se non era meglio quando le cose erano più divertenti attorno ad un calderone di pomodoro bollente con qualche foglia di basilico.

lunedì 17 agosto 2009

Un tranquillo week-end ed un lunedì da paura

Quello appena trascorso è stato un week-end all'insegna del divertimento e del relax.
Chiacchiere, riposo ed un'ottima dose di divertimento, il tutto in compagnia di buoni amici e della mia stella... non mi vengono in mente moltissime cose che potrebbero essere meglio nella vita.

Il ritorno in ufficio, stamattina, per contro è stato ovviamente traumatico: non è che il lavoro arrivato da fare fosse tantissimo, ma questo ha portato alla possibilità di mettere mano alle cose rimaste in arretrato in questi mesi devastanti... ed è stato come scoperchiare il vaso di Pandora!
Le ore di straordinario non le conto praticamente più... continuo a sperare che anche questo mese decidano in pagarcelo invece che tornare a mettere le ore in cumulo con la Banca Recupero Ore, ma nonostante tutto questo sia solo una speranza, anche oggi ho accumulato altre ore... mah... chissà se mai potrò più dire di essere "in pari"?

giovedì 13 agosto 2009

Oh Madonna!

Infuria, nella cattolicissima Polonia, la polemica sul prossimo concerto di Madonna.

Inaccettabile che si tenga il 15 agosto! tuonano alti prelati ed associazioni cattoliche conservatrici. Anche Walesa si schiera contro il concerto che cade in occasione della più importante festività mariana (l'Assunzione... anche più importante dell'Annunciazione? mah... non mi pronuncio: non sono un esperto in materia...). Blasfema e inconoclasta!

Non sto neppure a fare i complimenti a Miss Ciccone, maestra dell'arte di far parlare di sè (arte abbastanza necessaria se sei un artista pop... eccheddiamine! questa è gente che campa di notorietà ed è giusto che faccia di queste cose: non è una santa, ma un'artista con una lunga carriera alle spalle ed una professionalità mica da ridere), ma mi chiedo: visto che in Polonia, come girano certe cose, lo sanno, perchè non linciano il genio che ha autorizzato il concerto, invece che crocifiggere la cantante?

Giusto una nota che mi viene in mente, per libera associazione con questo discorso: posso chiedere, disperatamente, al mondo (vabbeh, mi accontenterei dell'Italia, San Marino e Vaticano compresi... e lo vedi che sono un utopista?) di smetterla di rompere le balle sulla religione, "ora" compresa?

Ma dico io, è mai possibile che non si possa accettare, in questo nostro bel paese, che magari c'è gente che non vuole fare l'ora di religione ("Insegnamento della religione cattolica", precisiamolo, non di un qualcosa di più generico legato alla religione...) e che è fare pesare la cosa sul suo rendimento scolastico sarebbe una porcata?
Che poi, a voler fare i puntigliosi sulla sentenza del TAR del Lazio che ha fatto scoppiare l'atomica di ieri, i giudici hanno stabilito solo che gli insegnanti di religione non possono prendere parte "a pieno titolo" ai consigli di classe che decidono i punti degli studenti. In pratica, nella stanza ci restano e dicono la loro, solo che quando si tratta di votare se e quanti debiti dare, non possono dire nulla, così, giusto per evitare che un insegnante un po' fanatico voti per dare un punto in meno sistematicamente a tutti gli studenti che non hanno seguito la sua materia (cosa che, magari, sarà anche successo visto che questa sentenza fa seguito ad una serie di ricorsi contro i punteggi attribuiti ad alcuni studenti...).

Io sono agnostico ed anticlericale e, da quando i miei mi hanno lasciato la possibilità di scegliere, ho smesso di fare religione.
Intendiamoci, si fosse trattato di "storia delle religioni" o "religioni comparate", l'avrei anche continuata a seguire, ma era sempre e solo etica cattolica! Nulla in contrario, per carità, ma se preferissi avere una visione più ampia del mondo?
E poi, per cortesia, vogliamo smetterla con la patetica scusa, addotta da qualcuno dei paladini che ha già annunciato che impugnerà la sentenza del TAR, che la componente cattolica è una pietra fondante della storia e cultura italiana?

Con tutto il rispetto possibile, l'etica e la morale cattolica dove stava quando Papi, Vescovi e Cardinali sfornavano figli da far arrivare ad alte cariche politiche? Dove stava quando ricchi e poveracci costringevano figli e figlie ad una carriera religiosa assolutamente priva di ogni traccia di vocazione solo per un calcolo economico o per una distorta visione del concetto di buon nome? Dove stava quando governanti secolari e religiosi combattevano guerre sanguinose per motivi esclusivamente economici e politici, magari nascondendosi dietro il sacro paravento della difesa della religione?

Ok, siamo in Italia e la povera gente si fa il segno della croce quando passa davanti ad una chiesa, ma la povera gente chiede anche a San Gennaro la grazia di un terno al Lotto...

Quanti di quei gesti, che dovrebbero essere segni esteriori di fede interiore, sono sentiti e quanti sono un riflesso condizionato? Quanti, a messa, facendosi il segno della croce e chiedendo perdono perchè hanno "molto peccato" pensano davvero a quello che fanno e dicono e chiedono davvero perdono?
Quanto del sentire cristiano di tanti italiani è frutto di una riflessione ed una consapevole scelta etica e morale e quanto è condizionamento ed educazione forzata?
Ma soprattutto, quanto del fervore cattolico di certa parte della politica è manifestazione personale di una posizione morale profonda e sentita e quanto è esclusivamente calcolo politico?
Tutti saltano sul carro della difesa dei valori della cristianità italiana, quando gli fa comodo, ma poi delle regole religiose se ne fregano... ma di cosa ci si stupisce mai? In fin dei conti se ne fregano anche delle regole della giustizia italiana, della costituzione ed altre analoghe amenità...

Silenzi di una mattina d'agosto

In queste mattine che precedono ferragosto capita, andando in ufficio come ogni buon forzato del lavoro, di notare una cosa in centro a Modena: il mondo è molto più silenzioso del solito.

Ci sono meno auto che passano per Canalchiaro e molti meno passanti.
A dire il vero, c'è molta meno gente in generale, come prevedibile...
Certo, la crisi c'è e Modena non è una città chiusa per ferie come poteva essere anni fa.

Resta che fa una certa impressione comunque rendersi conto che nei dieci/quindici minuti a piedi che mi separano dal (più vicino del solito) parcheggio al portone dell'ufficio, con un po' di fortuna (leggasi: se non incrocio un autobus), posso riuscire ad avere come accompagnamento solo il rumore dei miei pensieri.
In fin dei conti, chi ha detto che una città quieta è una brutta cosa?

mercoledì 12 agosto 2009

Confini inesistenti e cervelli fuggitivi

Domenica, ritornando da Genova, ho avuto modo di notare una cosa che, pur avendola vista ormai diverse volte, forse non avevo notato fino in fondo.
Il percorso che seguo, mi porta ad attraversare la provincia di Genova, quella di Alessandria, quella di Pavia e poi l'infilata Piacenza, Parma e Reggio.
Normalmente, in autostrada, al confine tra una provincia e l'altra, ed a maggior ragione al passare di una regione all'altra, si incontrano degli enormi cartelli che ti annunciano il confine e da dove stai passando a dove.
Passando da Alessandria a Pavia, infatti, si trova un bel paio di cartelloni che fanno questo annuncio, ma poi... Passando da Pavia a Piacenza, si incontra solo il confine della provincia e non quello della regione.
Personalmente, è qualche tempo che sostengo che sarebbe da proporre la cessione del piacentino alla Lombardia in cambio della provincia di Mantova (i mantovani sono più "emiliani": hanno un pezzo di zona di produzione di Grana Padano e mangiano tortelli di zucca, tanto per dire...) ed evidentemente anche l'ANAS (oltre che le Poste per cui la zona di Piacenza è nella "regione postale" della Lombardia e Mantova in Emilia-Romagna) la pensa così.

Rientrato a Modena dopo la tappa bolognese, comunque, sono andato a cena dalla Gi, dove c'era un po' di varia umanità fisica (Pesce, la Volpe, Carletto, la Fra, Manolo ed un po' di extra).
Mi ha colpito, e stimo un sacco, Pesce che si è votato all'autoproduzione di sapone, dentifricio, ecc., ma la cosa che mi ha più colpito è stata la consapevolezza di stare toccando con mano il problema dei "cervelli in fuga".
La Volpe in Norvegia, Carletto e Manolo tra Oxford e Cambridge e tutti gli altri sparsi per il mondo...
A volte mi chiedo se non ho fatto un errore decidendo di non tentare la carriera accademica, ma poi, guardando i miei amici che ci stanno provando e che sono costretti a questo tipo di vita, mi chiedo se sarei stato capace di fare la stessa da emigrato che fanno loro...

Resta che c'è una bellissima immagine che ha regalato Nils (che voglio provare a citare, ma sono certo di non essere preciso):
... cervello in fuga, sì, il problema è che il mio è riuscito a seminarmi!

domenica 9 agosto 2009

Traslochi

Oggi si trasloca!
O meglio, oggi, ritornando da Genova, farò il primo viaggio del trasloco di Fhede verso la terra dei tortellini.

Guardando l'ingresso di casa sua, rifletto visualizzando mentalmente la metratura cubica del bagagliaio della mia auto... ed un brivido di terrore mi corre lungo la schiena.
Sarà sicuramente un viaggio interessante, e tutto sommato positivo visto che sarà una cosa in più a cui la mia auto sarà sopravvissuta durante il suo rodaggio.

A parte le considerazioni volumetriche, comunque, c'è una parte di me che sta sorridendo felice da alcune ore. Che ci posso fare?

venerdì 7 agosto 2009

Il salmone in scatola ed Isoradio anni 80

Oggi sono stato viaggiatore: sono a Genova e ci sono arrivato partendo appena uscito dall'ufficio.
E' sempre interessante, in questo periodo, venire a Genova il venerdì sera: almeno nella prima metà di Agosto, ci si sente delle specie di salmoni che risalgono la corrente del fiume di auto che vanno verso il mare... beh, diciamo l'altro mare.
Mentre viaggiavo, tranquillo e sereno a 120-130 km/h in A1 diretto verso Milano, vedevo dall'altra parte un fiume (per loro fortuna: sarebbe stato peggio se avessi visto un "lago") di automobili che andavano nella direzione opposta... e ovviamente, mi sono sentito un salmone, sì, ma in una scatola grigio metallizzato...

Durante il viaggio, ma anche stamattina mentre andavo a Modena, ho avuto modo di ascoltare un po' Isoradio: meglio essere pronti psicologicamente nel caso si prospetti un bel tratto di colonna...
Ho avuto modo di constatare una cosa: chi si occupa della programmazione musicale di quell'emittente, a quanto pare, ha un rapporto conflittuale con quello che è stato composto meno di dieci anni fa! Bello sentirsi ancora negli anni '80 e '90, ovviamente, e poi gli "80s" sono tornati di gran moda, ma riuscire a sentire una sola canzone post 1999 in più di un'ora di ascolto è quantomeno surreale.... e mi è anche piaciuto, visto che io le cose surreali le trovo sempre divertenti!

giovedì 6 agosto 2009

Lo stupor mundi e la vita su Marte

Oggi, in pausa pranzo, ho avuto modo di leggere un articoletto, sul giornale, che parlava dell'assegnazione del premio "Gioco dell'anno" avvenuta di recente, come di consuento, in Germania. Il gioco che ha vinto (Dominion) in Italia è pubblicato dalla StuporMundi... leggere quel nome mi ha ricordato Federico II di Svevia, lo "Stupor mundi" per antonomasia.
Curioso come la più improbabile delle cose possa farmi tornare in mente uno dei personaggi storici che ho sempre trovato più interessanti.
La mia testa, spesso va per la sua strada, e - a dirla tutta - spesso non mi dispiace affatto: quando dal grande ricettacolo delle informazioni utili che ho tra le orecchie viene fuori un ricordo interessante, rivaluto l'utilità dell'archivio che mi porto appresso.

Dopo queste considerazioni, una nota sulla mia serata.

Stasera sono rimasto a casa, con le batterie da ricarcare data la settimana lavorativa che volge al termine e dato il week-end chilometrico che mi attende.
Sono rimasto a casa e, proprio perchè la tensione era bassa, ho guardato la TV; telefilm, in particolare.
Mamma Rai in prima serata non si sbilancia a mettere una prima visione neanche se prendi a bastonate il palinsestista: sarà che l'idea delle prime TV che passa Mediaset fa paura a certi funzionari che non vogliono perdere il posto, ma resta che, lo slot più appetibile è costellato di repliche. Qualcosa di interessante, però, per i volenterosi che hanno la pazienza di arrivarci, si trova se si arriva a gustare l'inglese Life on Mars.
Non ci si faccia trarre in inganno: il titolo è un riferimento all'omonima canzone e la fantascienza, con questa serie, non è che c'entri molto... forse... chissà...
Niente spoiler alert per un motivo, sia chiaro: io per primo non l'ho ancora vista tutta, quindi lascio a chi vuole saperne di più il procurarsi le informazioni del caso.
Resta il fatto che, la puntata che ho visto questa sera, mi ha fatto tornare in mente l'ignoranza cronica di certi discutibili soggetti dall'allineamento politico pseudo-nazional-socialista di cui si possono leggere, a volte, le invettive sui muri di qualche palazzo o sulla porta di qualche bagno pubblico (cosa, quest'ultima, peraltro capitatami realmente in quel di Genova...).
Questi simpaticoni, ancora oggi, a volte tirano fuori concetti un po' demodè quali quello di "Razza Ariana".
Questi soggetti discutibili, se fossero un po' più documentati su quello di cui parlano, saprebbero che il concetto di "Razza" è alquanto superato (anche se sicuramente troverebbero modo di affermare che il superamento di quel concetto è chiaramente l'opera di esponenti di razze inferiori) e che la loro cara "Razza Ariana", secondo la loro idea di superiore ed inferiore, andrebbe a collocarsi più tra le ultime che non tra le prime.
Pensandoci bene, a volte, l'ignoranza sa generare momenti di pura, ed involontaria, comicità...

mercoledì 5 agosto 2009

Una nuova determinazione... e il punto della situazione

Dice "Ma che cosa lo tieni a fare un blog se poi non ci scrivi mai?"
Dico "E' un mondo di tenebra..."

In realtà, il fatto che sia un mondo di tenebra non spiega nulla. Il vero motivo per cui sono sparito dalla circolazione per quasi sei mesi è che sono un lavativo senza spina dorsale...
D'accordo, forse il giudizio è un po' troppo severo, ma l'idea di fondo è che scrivere richiede tempo, ed il tempo è un bene tanto prezioso quanto raro, nella mia caotica esistenza analogica.
Eppure, rieccomi, e questa volta con un'idea nuova: l'idea di cambiare.

Cambiare non è mai facile, e nel caso specifico, rischia di essere un'impresa titanica, ma questa volta ho deciso di farlo e lo farò!

Rileggo l'ultima frase che ho scritto, ed all'improvviso mi risuona in testa una canzione di Daniele Silvestri...

"Illuso"

Illuso è chi pensa che un prete sia sinonimo di santità
chi un giorno decide il da farsi ed è sicuro che lo farà
Illusa è la gente che crede in una o più divinità
soltanto se quello che vede non è conforme alla normalità

Chi vive superficialmente ma crede di apprezzare le piccole cose
chi vuole sedurre una donna regalandole rose, regalandole rose

Illuso è chi cerca in un bacio il suono di mille campane
chi guarda alle stelle e vedendole lì non le trova poi tanto lontane

Illusa mia madre quel giorno che disse mio figlio mi darà
l'amore di cui ho bisogno, perché mio figlio un buon figlio sarà.

Chi vive superficialmente ma crede di apprezzare le piccole cose
chi vuole sedurre una donna regalandole rose, regalandole rose

Illuso anch'io continuamente, confuso tra tante realtà
ma se scoprirò quella giusta, chissà se poi l'illusione cadrà
se scoprirò che c'è una sola realtà non credo che mi basterà.

Daniele Silvestri - Prima di essere un uomo (1995)

Il fatto di essere un illuso, per altro, non mi dispiace neppure tanto: mi piace l'idea di essere un inguaribile e patetico individuo convinto che, da qualche parte, ci sia una realtà migliore... magari una realtà in cui sono migliore di quello che sono in questa surreale parodia di un mondo sensato che di sensato non ha, solitamente, neppure la parvenza.

L'ora è quella che è e mi chiedo che senso abbia perdersi in filosofeggiamenti notturni, ma il bello di essere da solo in casa sta proprio nel fatto che posso permettermi di farli: non mi devo preoccupare della luce accesa e della porta aperta che potrebbero disturbare i miei che già dormino visto che, se stanno già dormendo, è a seicento chilometri da qui.
Essere da solo in casa mi piace: mi da quell'assaggio di indipendenza e di solitudine non solitaria che una parte di me cerca da molti più anni di quanto non fosse auspicabile in principio.

Resta che posso permettermi di scrivere un po'... beh, forse tanto, ma giusto per togliermi una soddisfazione: da domani si cerca di cambiare!

Sono passati sei mesi e non sembra... almeno non in primissima istanza, ma poi basta soffermarsi un attimo a rifletterci e ci si rende conto di quanta roba è successa nella mia vita. Già, nella mia esistenza, perchè se uno si prendessi la briga di osservare le esistenze delle altre miliardi di entità che vagolano su questo pianeta...

Sei mesi fa non sapevo di che morte (lavorativa), mi toccava di morire: con un contratto a tempo determinato in scadenza, ai tempi della crisi economica, una qualche agitazione uno ce l'ha sempre, ma alla fine, la mia condizione precaria si è stabilizzata (almeno fino al 2011...) ed una nuvola si è diradata dal mio futuro.

Sei mesi fa, ero uno studente del secondo anno del Corso di Match di Improvvisazione Teatrale di Modena, mentre oggi sono un amatore. Il 9 giugno scorso, in quel di Sassuolo, le G(i/nu)raffe hanno dato il meglio di sè, ed un paio di settimane dopo è arrivato il verdetto. Passate ancora un paio di settimane, è arrivata la prima convocazione, ed il 22 luglio, sempre in quel di Sassuolo, un nuovo amatore ha fatto il suo esordio con il numero "44 Rosso". Non so se ci saranno altre convocazioni nel mio futuro, ma di sicuro ci sarà ancora tanto impegno e tanto studio, tanto allenamento e tanta voglia di fare, e poi venga quel che deve venire.

In questi sei mesi, ce n'è stati due dove l'improvvisazione è stata un battito che dava il ritmo alle mie settimane: allenamenti a Modena, per il corso, ed allenamenti a Bologna. Confrontarsi con amatori d'esperienza e professionisti, e sentirsi in grado di non fare la figura del manico di scopa, ha aiutato un sacco.

In questi sei mesi, c'è stato un incidente automobilistico... nulla di grave, sia chiaro, ma un'auto da cambiare. Ed ora c'è un'auto nuova, che ripago un po' alla volta ai miei genitori che mi hanno aiutato ad evitare un finanziamento/ladrocinio.
E l'idea di avere un finanziamento a tre zeri da ripagare mi fa sentire un po' più vecchio.

In questi sei mesi c'è stato il gioco di ruolo, che è andato e venuto. Ci sono stati gruppi che hanno fatto scintille (e ancora mi chiedo quanto e cosa avrei potuto fare per evitarle) e gruppi che si sono allargati. E c'è stato l'ALEA che si è fatto sempre più forte e robusto, in grado di reggere sulle sue spalle sempre più peso, sotto lo sguardo orgoglioso di un creatore felice.

In questi sei mesi c'è stato il lavoro... c'è stato e c'è ancora. Prepotente, si è fatto tiranno che non da scampo: ladro in grado di trafugare tempo, energia, esistenza. C'è e ci sarà ancora... ladro di ferie, in grado di mangiare giorni alla STICCON costringendomi a fare il pendolare tra l'ufficio e la convention.

Eppure le ferie ci sono state lo stesso, strappate con le unghie e con i denti, anche se tutte si riassumono in una settimana nell'algida (beh, nel caso specifico, sorprendetemente torrida) albione: una settimana a Londra, a cavallo tra la fine di giugno e l'inizio di luglio, sperando di trovare il fresco e trovando un'ondata di calore che quasi faceva il paio con le temperature italiche. Fabiuzzo, rivisto dopo tanto, matto come sempre, e tante cose da vedere e rivedere, con occhi diversi perchè accompagnato da una persona diversa.

In questi sei mesi c'è stato Star Trek, con la convention dimezzata ed il film, con i progetti dello Star Trek Online spiati e con le fatiche legate al manuale dell'ALEA:EST, con i folli propositi e le belle idee.

In questi sei mesi c'è stato altro, ovviamente, tanto da riempire almeno altrettante righe, ma l'ora si è fatta consona più al cuscino che alla tastiera, quindi l'onesto dattilografo ripone lo strumento, si stiracchia e lascia che una sinfonia di crepitii parta dalle rattrappite dita.
Un'ultima lettura, una verifica alla punteggiatura, e poi il click che rende tutto vero nell'irreale mondo dei bit in movimento.

Sono tornato on line! Chissà cosa succederà ora...

martedì 10 febbraio 2009

Gli amici che non hai e la non selezione innaturale

Sono diversi giorni, ormai, che l'Italia parla quasi solo di una persona e credo che ieri sera ogni fonte di informazione (mah...) abbia "banchettato" di una sola notizia: una morte.

Tutti hanno voluto dire la loro, far proclami, lanciare anatemi... qualcuno ha dimostrato che ci sono cose intollerabili per certe persone, prima fra tutte, perdere... altri hanno ribadito il concetto che, se l'arbitro ha già fischiato tre volte, cambiare le regole del gioco non cambierà il risultato di quella partita.
Molti hanno detto tutto ed il contrario di tutto. Qualcuno ha avuto il buon senso di stare zitto... ma putroppo sempre troppo pochi.
La cosa che più mi ha dato fastidio, è che tutti sono diventati amici di una persona che non li ha mai conosciuti.

Il nome delle cose è importante, ed ancora di più lo è il nome delle persone, tanto che, a mio avviso, agire con cattiveria su un nome è un chiaro segno di disprezzo della persona... ma ci può essere altro oltre la cattiveria.

Bene o male, credo che tutti abbiano proprietà del concetto che una persona trae identità anche dal proprio nome, e mancare di rispetto al nome è un mancare di rispetto alla persona.
Io posso rivolgermi tranquillamente a qualcuno usando un diminutivo, un vezzeggiativo o un soprannome se sono in confidenza con quella persona, se mi autorizza o se è un personaggio pubblico ed uso il suo "nome di battaglia". Se mancano queste condizioni, usare un soprannome dimostra arroganza, forse, se non addirittura esplicito disprezzo o mancanza di riconoscimento della significatività altrui.

Al che mi chiedo, che diritto aveva, tutta quella gente, di dare del tu ad una persona che non ha mai conosciuto? Di usare dei soprannomi che, magari, neppure i suoi amici usavano?
Tutti questi "amici", che senso avevano? Che senso hanno gli amici che non hai e che magari neppure vorresti?
Eppure succede continuamente: qualcuno si comporta come se conoscesse una persona da sempre, pur non avendola mai vista nè conosciuta... E' l'assurdo quotidiano, sempre più quotidiano, di un'epoca come la nostra in cui "esserci" è più importante financo del motivo per cui uno dovrebbe esserci.

A parte questi sconosciuti amici, quelli che non hanno una vita vera e cercando di entrare in quelle degli altri, i benpensanti, i malpensanti, i paladini, i crociati, i sofferenti, i martiri, i calcolatori che usano tutto e tutti, gli sciacalli ideologici e tutto quello che, più o meno inutilmente - ed a tratti, per me, anche disgustosamente - è girato attorno alla vicenda, ogni tanto qualcuno ha provato timidamente a sollevare un angolo della coperta che è il vero problema, ma mi è capitato di sentire nessuno che affrontasse veramente la questione dicendo le cose come stanno.
Una persona ha scatenato un putiferio, secondo qualcuno, ma in realtà il problema non era lei, ma bensì la fine della selezione naturale.

Tutto quello che è successo, e non è successo, in questi giorni è stato legato ad una persona che è morta dopo essere rimasta in vita (almeno fisiologicamente) a lungo... forse, troppo a lungo.
Questa persona ha subito un danno fisico, quasi vent'anni fa, e la medicina ha fatto in modo che rimanesse in vita... Se un evento analogo si fosse verificato venti anni prima, neppure una nota di questo surreale can can sarebbe stata suonata: i danni subiti da quella persona sarebbero stati fatali e si sarebbe rapidamente spenta, senza santi e diavoli dell'informazione a ballare attorno al suo letto.

Io più di una volta ho pensato, e sostenuto apertamente, che la nostra specie ha avuto la "brillante" pensata di prendere la selezione naturale e defenestrarla con lo sviluppo della scienza medica.
A volte è un bene, non dico di no, e dobbiamo essere grati all'ingegno della nostra specie (senza medicina, probabilmente, io stesso non sarei qui ora: forse, un secolo fa, senza gli antipiretici sarei morto a causa della febbre alta portata dal morbillo quando ero piccolo), ma a volte sembra essere l'idea peggiore che i nostri predecessori potessero avere.
Il passato recente, ed il futuro, non evoluzionistico della nostra razza (che, per altro, credo siano una considerazione che anche altri, più autorevoli di me, hanno formulato e che, forse, anche il buon Darwin sarebbe costretto a riconoscere), però, non arriverebbe ad avere ripercussioni tanto forti sulla nostra società se non fosse per la surreale gestione delle informazioni e per la mancanza di parallelismo tra l'evoluzione tecnica e culturale della nostra forma di vita.

Il problema vero, in un caso come questo, probabilmente non è che la medicina ci ha consentito di garantire la sopravvivenza (ed, a volte, la riproduzione) a soggetti che avrebbero dovuto essere un ramo estinto, non vincente, della nostra genealogia genetica, ma il fatto che la nostra concezione culturale della nostra specie non si è evoluta rapidamente come la nostra conoscenza del mondo.

In buona parte del mondo, le convinzioni culturali ed etiche della maggioranza della popolazione non si discostano molto da quello che era il set morale e culturale di mille/millecinquecento anni fa, e poco importa che il nostro livello tecnologico ci renda paragonabili a quelli che i nostri noi stessi dell'epoca avrebbero considerato maghi, angeli, santi, diavoli o dei.
Abbiamo raggiunto il potere, abbiamo allargato i nostri orizzonti, eppure, non abbiamo ancora cambiato modo di navigare... non so se ho ragione o meno, ma ho sempre più spesso il sospetto che questo scenario non sia l'apice della saggezza che la nostra specie può esprimere.

lunedì 26 gennaio 2009

La lancia di Sigfrido

Quella che segue è la storia del mirabile giorno in cui, nell'anno di grazia 1568, Giovanni Vasa assunse la corona di Svezia, come narrata da un indegno allievo del Bardo.


La lancia di Sigfrido

Una commedia in un atto

PERSONAGGI
GIOVANNI III VASA
Duca di Finlandia e Re di Svezia
OLAF SVENSON
Duca di Malmo, Feldmaresciallo Giovanni III
CATERINA JAGHELLONA
Sposa di Giovanni, sorella di Sigismondo II di Polonia
CARLO STURE
un giovane svedese di nobili natali
BIRGER BIRGERSSON
un giovane maniscalco di Kalmar
ERIK XIV VASA
deposto Re di Svezia, folle fratello di Giovanni III
UN SERVITORE
UNA GUARDIA
NOBILI DEL SEGUITO


Atto Primo

Scena I
Il salone delle udienze del palazzo reale di Stoccolma

(Entrano Giovanni, Olaf e nobili del seguito)


GIOVANNI
Nobile Olaf, mio maresciallo,
duchi, conti e cavalieri di Svezia,
giunto infine è l’agognato giorno:
il duraturo confronto che ci armò
contro la carne e il sangue nostro,
e che spinse la nostra terra a fremere,
per sette lunghi e perigliosi anni,
all’incedere costante di marziali passi,
oggi vede sua attesa fine. Oggi,
quando lo sfolgorante astro, che i
cherubini muovono nel cielo,
al culmine di sua corsa sarà giunto,
la terra che fu del padre mio Gustavo,
e poi dello scellerato fratello mio Erik,
un nuovo re avrà da festeggiare.


OLAF
Il cielo ti vuole ornato del biondo ferro,
signore nostro che sol del freddo acciaio
per troppo tempo ti vestisti.
Un guerresco elmo cedi,
in cambio di augusto anello,
ed ai comandanti tuoi rendi ciò che
follia e crudeltà, di malsano frutto
del tuo stesso nobile ramo,
tolse iniquamente e senza aiuto di ragione.


GIOVANNI
Cugino mio, mio fratello nel ferro,
non temere: così come un più altro re
accompagnò, per tutta la campagna nostra,
nostre truppe, e a lui sarà resa grazie
in questo giorno, quelli, che lui fece nobili
di spirito e lignaggio, ripagato avranno
ogni credito che vantano. Solo m’angustia,
in questo lieto giorno, l’udire che i danesi
in arme avanzano ancora verso Malmo.
La rocca tua è salda, mio maresciallo,
come le chiglie delle navi dei padri nostri,
ma come vascello alla tempesta esposto
saprà trovar sicuro porto oggi che
il nocchiero suo lontano dal timone siede?


OLAF
Sire mio non temere: i danesi flutti
a un forte scoglio vanno incontro, ché
mai solo mio fu merito di armato
nostro successo. Altra è invece fonte
di mia preoccupazione:
nobiltà d’animo e bontà, a te,
reggono il regale manto che vesti,
ma non è questo tempo di benevolo
sguardo. Tu risparmi il sangue tuo:
solo alla catena lo condanni.
Contro accorti avvisi di virtù t’armi,
ma così a Virtù cedi comando
dell’arte tua che è il regno,
che è arte a cui Saggezza e Malizia
assai più si confanno.


GIOVANNI
Due volte sole gli angeli
hanno menato il sole intorno,
eppure a cento assalti di consigli
ha resistito già mia decisione.
Ancora non vedete, miei conti
e duchi tutti? S’io mi facessi quale Erik,
menando a destra e manca
l’odiosa lama del boia
dal solo sospetto guidata,
sua via prenderei, ché natura sua
è mia nel midollo, come sua e mia
fonte di sangue sono la stessa.
Lasciate ch’egli viva: già troppi
sono i diavoli d’inferno che in vita
lo tormentano qual’egli fosse già morto.
Al Signor nostro piacendo, breve
sarà il di lui calvario, che Iddio breve fece,
dopo tutto, calvario di Svezia.


OLAF
(a parte) Tosto si fa l’orecchio del
galantuomo che malizia non intende.
Se il candido sire nostro
del sangue d’egli segnar non vuole
l’aureo cerchio che in capo porta,
ad altri, a minori, tocca fare
che l’alta terra nostra non veda ancora
fratelli armati scendere in lizza.


GIOVANNI
Ora che l’alto momento
di questo dì s’appressa,
lasciatemi duchi miei, fratelli:
come antico cavaliere
prima di prendere di San Giorgio l’arme,
a terra nostra, a nostro sangue
e al Signore nostro, il mio pensiero
solitario si volga. Lasciate che,
eremita nel petto mio, il mio cuor faccia
di colpe mie e di meriti la somma,
ché giusto è che al regale seggio
sol s’accosti il rispettoso cuore.


OLAF
L’arcistratego ti sia guardia,
signore che di Svezia ti fai guardiano.
(ai nobili) A preparare nostri giuramenti,
fedeli devote promesse, tutti
volgiamo l’animo chiaro,
e a ciò che è nell’animo suo
il nostro sire consegniamo.


GIOVANNI
I santi vi siano scorta.


(Escono i nobili e Olaf si avvia)


OLAF
(a parte, uscendo) Meglio i diavoli d’inferno,
per badar a quel ch’io intendo.
L’anima mia danno
consegnando a prematura sorte
col fiele il fratello suo,
ben lo so, ma se a Svezia tutta
altri lai risparmio,
l’eterna fiamma mi parrà dolce camino.


(Esce Olaf)



Scena II
c.s.

(Entra un Servitore)


SERVITORE
Signor mio, perdona chi t’angustia.


GIOVANNI
A te perdono concedo,
che messo soltanto sei.


SERVITORE
Sia il perdono tuo sì grande
da ospitare pure chi mi manda.


GIOVANNI
Se il cielo fosse grande
la metà di mio perdono,
sulle spalle d’Atlante
null’altro avrebbe posto.


SERVITORE
E Svezia nostra ti benedice
per questo e gli altri doni
ch’Iddio fece all’animo tuo.


GIOVANNI
Risparmi Svezia le sue benedizioni
e questo messo risparmi la favella:
limitarti potresti a rendere
un nome e un volto a colui
che qui ratto ti mena?


SERVITORE
Ben lo potrei, se il sire mio lo comanda.


GIOVANNI
Se comando deve essere
lo sia, ma dimmi chi mi cerca
o, per l’anima mia, io stesso
costretto sarò a varcar la soglia
per dare a questo enigma soluzione.


SERVITORE
Nessuno va cercando
il prossimo nostro signore,
ma s’egli intende sapere
chi richiede di poterlo incontrare,
è alla Duchessa, prossima regina,
che la mente sua deve volgere
il magnanimo e buon pensiero.


GIOVANNI
La signora tua, messo magniloquente,
fai pure avanzare e concedi,
agli orecchi nostri stanchi,
licenza di tuo aulico verbo.


(Esce un Servitore)


GIOVANNI
(divertito) Doni, da concedere
alle genti di nostra algida Svezia,
il cielo ne aveva d’avanzo,
s’ebbe modo di fornire
un solo servo, tanto pronto,
dell’eloquio dei poeti
e dell’arguzia dei filosofi.


(Entra Caterina)


CATERINA
Luce dell’animo mio, ti vedo lieto.
Cosa dona al cuore tuo levità tale
da accogliere l’amore
col medesimo sorriso che,
lungi da regali affanni,
concedevi agli occhi miei giovinetti
nei bei giorni dei primi incontri nostri?


GIOVANNI
La bella gente di nostra terra
mi dona liete risa e cuor leggero,
che pure si fan cosa ch’è nonnulla
quando sul candido sembiante tuo,
del quieto splendor di mille stelle ladro,
ch’amore in terra è di carne e sangue,
l’occhio mio si posa lesto
e gioventù ridona al cuore.


CATERINA
Che direbbe la gente di tua patria
se sapesse ch’ha re ch’è anche poeta?
Non v’è dunque qualità che in tuo petto
non abbia a trovare salvo suo asilo?
Grande è il re, dissero i profeti,
che, tanto con favella che con ferro,
sa essere degno pari del maestro
che l’ebbe a forgiare a quel fardello
che gran regalità si porta appresso.
In te, guerresca arte e lieve parola
s’abbracciano a virtù e arguta mente,
che, quando acconci il cuore
a far giberna a diplomatici consigli,
ti fai signore di genti e terre
senza ch’occorra di metter mano al brando.


GIOVANNI
La polacca musa d’arte mia
l’ho qui accanto e, senza di lei,
non avrei cuore a far di questa terra
nulla che è degno d’un signore.
Ma dimmi, luce mia, quale questione
ti spinge a cercare il tuo compagno?
Cosa, in questo giorno, ti porta
a cercarmi nel momento
di mia riflessione?


CATERINA
Ti giunse, mentre eri
coi tuoi conti in gran consiglio,
notizia che Sigismondo,
l’alto figlio del padre mio
di Polonia gran signore,
inviò squisiti doni e lesta legazione
a rendere i prescritti omaggi
ad un nuovo unto sovrano?


GIOVANNI
Non l’intesi questo fatto,
e assai me ne dispiaccio.
Chi li guida? Ivàn? Augusto?
Forse Sigfried, gran generale?
Chi di lor ripose l’armi sue,
e pose al suo cavallo ricchi finimenti,
a onorare degnamente
l’imminente grande occasione?
O forse tutti e tre, quali orientali magi,
si presentano a recar gradite regalie
e a condivider gli agi
di una calda corte in vece di freddo campo?


CATERINA
Augusto, il cugino mio,
quale baldo Baldassare
s’accompagna a suoi pari
e omaggia il mio signore.


GIOVANNI
Ai tre miei grandi amici, ti prego,
presenta mie scuse: presto
li avrò a me dappresso e
lieti parleremo, a ridestar,
quali fantasmi di passati giorni,
l’ardimentose gesta che,
prima di gran festa e trattenimenti
lieti nostri, ci videro compagni
e consorti in bricconate che
mai ebbi a narrarti di gioventù nostre andate.


CATERINA
A quel che di mio signore è intendimento
adempierò prontamente, ma avanti
ch’io possa a loro recar messaggi,
permetti ch’io a te riferisca
quanto qui ero giunta a riportare.
Il buon Sigismondo, per mezzo mio,
ti manda a dire che appresso al
marziale trio viene un giovane
onesto, di buon valore, pronto
di braccio e meninge, che raramente
vide pari il terra di Polonia;
egli non è di quella landa però figlio:
dal nobile seme di Svezia
viene sua alta pianta. Sture è sua famiglia,
che in Goteborg non più comanda,
e porta in sé seme di grandezza,
come adorna d’augusto suo nome
di imperatori molti. Carlo Sture,
è questo il giovane fiero che
a tuo cospetto viene, e a te,
quale scudiero, si presta in questo giorno.
Di nobile padre, caduto per mano folle,
egli è certo e giusto erede,
ma per sé egli non vuole ciò che,
pure, avrebbe diritto di volere:
al nuovo nostro sire implora l’occasione
di poter prestare sfoggio di forte
sua schiatta, guadagnando di sua arte
ciò che l’augusto suo natale
comunque non gli valse.


GIOVANNI
Achille ed Ercole, in sol corpo giunti,
non parrebbero avere maggior valore
di questo solo giovane. E sia:
gli si faccia riferire che udienza a lui
sarà concessa, innanzi a che la Svezia
un nuovo re conosca, e che quindi
d’appresso a questa corte fido si tenga.


CATERINA
Ai tanti tuoi propositi
a dar seguito si presti
l’intera terra e il cielo,
ché in te maestà è ben desta.


GIOVANNI
Ora, colomba mia, a tribolati pensieri
il mio animo lascia. Prossimo
il nostro nuovo incontro già si fa,
come il chiaro sole che
al culmine del cielo s’appressa.


CATERINA
Al volere di gran maestà
il mio fare si conforma.


(Esce Caterina)



Scena III
c.s.

(Entra un Servitore)


SERVITORE
Signor mio, perdona il messaggero
che in riflessione tua si frappone.


GIOVANNI
(a parte) Toh guarda, l’aulico poeta
che di servil livrea si fe’ mantello.
(al Servitore) Al messaggero sempre sarà concessa
magnanima la grazia, ma perdona
forse il servo il suo signore che si chiede
se è forse scritto nel cielo che
il ponderare suo ha da essere tormentato?


SERVITORE
Al nostro gran signore io ho a
rassicurare che non è mia
la volontà che a lui mi manda.


GIOVANNI
E di chi è, in codesta fausta occasione?


SERVITORE
L’appellativo del forestiero che
al signor mio s’appressa, non mi fu
concesso di sapere.


GIOVANNI
Non lo chiedesti?


SERVITORE
In fede, signore nobile e giusto,
lo chiesi, ma la risposta ch’ebbi
mi parve invero strana. A domanda,
diretta e chiara, non venne simile risposta
e, quando rinnovai limpida richiesta,
detto mi fu “Il nome mio valore non ne porta.
Alle tue orecchie, vuoto suonerebbe
e il forte portone a cui fai scorta
quella parola non animerebbe,
che tanti, quali me, ne ha visti il cielo,
e l’alto ospite tuo non ha da trarre
degno giovamento da sapienza
che meno d’un zecchino ha di valore.
Va e riferisci solamente che
un messaggio porto per quello
che, oggi sorto re, un tempo era
Johannisk. il giovane dalla cuffia nera.”

GIOVANNI
(a parte, preoccupato) Johannisk? Chi può...
(al Servitore, pressante) Solo questo ti disse?


SERVITORE
Com’è vero che nella Svezia tutta
nessuno c’è che a te è pari,
signore che col segno, di predecessori
tuoi molti, fai giusto orpello alla
forte sede di quel ch’è tuo pensiero.


GIOVANNI
L’aspetto di quel viaggiatore
qual è? Com’è il suo sembiante?
Gli inverni di terra nostra
versarono sul capo suo
tanta neve da dare, alla sua chioma,
colore che par quello di virginale veste?


SERVITORE
L’augusta maestà che ci governa
ha forse dei profeti il dono?
Il viaggiatore che a lui si presenta,
in cima al collo suo, porta la neve.


GIOVANNI
E sia! La soglia, da lignea guardia vigilata,
per questo viaggiatore si dischiuda:
avanzi e siano diavoli o santi
i suoi passi ad accompagnare.


SERVITORE
Il cielo e la terra di terra nostra
al comando tuo prestano servile orecchio,
e chi sono io per far da meno?


(Esce un Servitore)


GIOVANNI
Come, per il cielo, si presenta
questo misterioso caso?
Solo uno su suolo di Svezia
ebbe ad usare tale nome...
Ma l’anima sua sta coi santi
da anni molteplici ormai:
già nella lotta per l’aureo cerchio
ero impegnato, quando
il buon frate precettore
gli angeli accolsero nell’alto.


(Entra Birger)


BIRGER
(verso fuori) Guardia d’alta porta tanto loquace,
perdona tu il viaggiatore che fai passare:
il gelo di nostra terra, ch’era meco
e che manto e cappuccio mio agghindava,
ti lascio là, sul chiaro marmo,
quale limpida fonte da prosciugare.


GIOVANNI
(a parte) Eccolo che viene... eppure imbiancato
non pare essere il di lui capo.
Pare essere di quelli che ancora
facilmente conta sue, non molte, primavere
e non ha da lottar, con affollata memoria,
quando rimembra i fatti
dei trascorsi suoi anni.


BIRGER
Nobile signore, augusta maestà,
magnanimo tu sia con chi ti porta
notizie che, altri, vollero a te destinate
solo in questo giorno da lungi rimirato.
Io vengo a far da voce a coloro
che più non hanno voce sotto il sole:
di genti che più non sono
ti riferisco le benevole parole;
di genti che nel cuore tuo e mio han posto:
d’un padre e d’una madre sapienza ti riporto.


GIOVANNI
Innanzi che a tali menti tua voce presti,
rammenta la maniera che si conviene,
e, prima di parlare con parole d’altri,
una parola tua a me presta.
Dimmi, viaggiatore giovane che canuto giunse,
con quale nome fosti a santa fonte
presentato, in giorni prossimi ai natali tuoi?


BIRGER
Birger mi fu dato come nome in sorte,
quale era quello del mio buon padre.
Birger Birgersson, ferratore di destriero nobile
come di stolido equestre lavoratore,
tra le forti mura di Kalmar
in dì usuale potreste trovare,
ma oggi alto incarico mi porta assai lungi
dai cari e familiari spalti.


GIOVANNI
Non breve è la strada che percorso hai.
Sia dunque libera la briglia
che frena voce e pensieri tuoi:
un messaggio rechi, ed ora che
mi è dato di conoscere il messaggero,
provvedi a riferire ciò che devi.
Dicesti che da un padre
e da una madre giunge la parola tua...
m’accade dunque di conoscere
fonte di tuo onesto lignaggio?


BIRGER
Non t’inganni la maldestra favella
di colui che colto non è e che ti parla:
la madre di cui parlo è sì genitrice mia,
mezzo per cui l’anima mia vide
luce del mondo, ma il padre
è forse più tuo che mio, valoroso mio signore.
Di religioso padre io vado parlando,
di quello che fu padre eppure era fratello.


GIOVANNI
(tra sé) Un gran faticatore certo è costui,
ma due volte più adatta
gli sarebbe l’arte del cesello,
se con artefici mani sue destrezza
avesse pari a quella che è di sua loquace lingua.


BIRGER
Ante ch’io venga a riferir messaggio,
lascia che illustri al mio nobile sovrano
come esso giunge a nascondermisi in petto.
Nei trascorsi anni di mia giovane vita,
nella città dove grande Unione ebbe patria,
un buon uomo di Dio aveva preso a servire
quale confessore di mercanti,
gran signori e brava gente.
Pure, di prestare parola ad insegnamento
ancora sazio egli non era:
a lui ho da render grato merito
d’arte mia di leggere, scrivere e far di conto.
Svante il suo nome, ben lo intuisco,
nuovo non ti giunge: prima d’essere
dell’animo di buona gente consigliere,
precettore era stato di frutti,
di ben più alto ramo,
quale solo due ce n’è in tutta
patria nostra: uno grande e maggiore,
ma da tarlo abitato, ed uno minore
eppure assai più grande,
che di meritato biondo metallo
pesto si farà cappello.


GIOVANNI
Gli anni, trascorsi da miei giovanili studi,
mi diedero a perdere del buon frate nozione
fino a che di sua fine ebbi voce.
Lieto mi rende apprendere che, in Kalmar,
sua erudita e divina missione,
negli anni lietamente svolse.


BIRGER
E lieto l’era il divino padre,
per buona sorte che gli era incorsa:
del buon conte nostro religioso consigliere,
per le sue marmoree sale, e nella forte
aula d’aurea scorta, aveva libero passo.
Le sacre sue reliquie ch’egli celava,
il buon fratello aveva modo di mirare,
e d’esse ci donava grande conto,
ogni qualvolta il tal santo,
di suo modesto pulpito, ricordava.
Tra quei grandi cimeli d’anime sante
e grandi armati condottieri,
il frate e lo studioso, che di quel buonuomo
condividevano il devoto cuore,
ebbero un gran valore a reperire:
un chiaro ferro, di lancia estrema cima
lucida e tagliente quale fresca di cote.
Il conte nostro quel tesoro teneva
come l’arma del normanno eroe
che di draghi si fece vincitore.


GIOVANNI
Mi par d’averla, in gioventù,
mirata quella quale di Sigfrido la lancia.


BIRGER
Tale fieramente la presentava
il signore di nostre ardite mura,
e alla fine della fabbrica di nostro,
antico e nuovo a un tempo, castello
voleva che in bella sala essa stesse,
a rendere gran lustro a sua figura.
Il giusto precettore, invero,
a lungo quel acciaio tenne a studio:
com’ebbe poi a dir che a te si riferisse,
in giorno di vittoria tua sul tuo stesso sangue,
al normanno di draghi uccisore
egli non credeva appartenesse.
In cuore suo serbato aveva
preziosa e nascosta opinione:
non di pagano esso era,
ma d’uno che a Dio affidava sua tenzone,
a giudicar di segni e d’iscrizioni
che sul ferro e sul legno lesse.
A tempo che gli angeli a lui
si presentarono per portarlo
in alto seggio, matura era sua convinzione
che del cristiano Olof il ferro fosse.


GIOVANNI
Del nobile padre di regale stirpe?
Del primo condottiero di svedesi armate
che marciassero sotto cristiano stendardo?


BIRGER
Ben l’intende il mio erudito duca,
che del saggio frate ebbe a studio
la patria e nobile storica lezione.
In giorni di battaglie per il regale seggio,
il mistico nostro padre Svante
ben vide certa tua vittoria, mio signore,
e diede alla genitrice mia funzione
di farti avere questa preziosa nuova,
in giorno di tua liberazione
di terra nostra da consanguineo tuo
folle tiranno, a ché il forte ferro
di devoto sovrano, un nuovo
devoto sovrano consacrasse.
Quando alla madre mia,
due anni orsono, il fato spense lume,
a me passò il grande compito
e, come vedi, pronto ora l’assolvo.


GIOVANNI
Grande notizia tu porti invero,
quale dono a un re, che non ha pari,
che tesori e gioie di mille altri signori
nulla valgono a ciò che è di nostra Svezia.
A questo tuo messaggio,
ed a volontà del buon precettore,
occorre dare seguito tosto.
(chiamando) Buon servitore, di alata lingua munito,
poni leste ali ai tuoi calcagni
e ratto menati al cospetto del signore tuo.


(Entra il Servitore)


SERVITORE
All’appello di colui che svedesi genti mosse,
il passo del suo servo lesto si scosse.


GIOVANNI
E’ in sala prossima in attesa
un giovane che viene di Polonia
eppure che di Svezia è figlio?


SERVITORE
Invero così è, mio buon signore,
immobile in attesa come pietra,
attento ad ogni passo ed ogni voce
ché la chiamata sua non sia sorpresa.


GIOVANNI
E dunque che suo attendere sia rotto
e al cospetto mio egli giunga!
Suo valore mi concesse di testare
e ad alta questione gli farò misura.


(Esce un Servitore)


GIOVANNI
A te, mio prezioso messaggero,
ho da concedere grata licenza,
ma se volessi rinviare tua partenza,
potrei agio darti a dimostrare
valore quale è noto essere,
di quei di Kalmar, gran patrimonio.


BIRGER
Alto onore maggiore non potrebbe
essere, per umile mio pari,
servire quelli che tutti ci fe’ grati,
del periglioso peso liberando
l’alto trono di quei che Svezia guida.


GIOVANNI
Animo nobile pochi pari
il tuo avrebbe, tra i conti e bei signori
di terre che non siano
di almeno dieci volte
della nostra assai maggiori,
se solo almeno una ve ne fosse.


(Entra Carlo)


CARLO
(a Giovanni) Al grande sovrano d’alta terra
piace di concedere, al forestiero,
udienza che, nel cuore suo,
speranza accende. Cosa mi comanda
il grande e giusto mio signore?


GIOVANNI
A te che di nostra terra figlio
d’altra patria fosti allevato,
a te che di dote tua giusta
non fai richiesta, il tuo signore
occasione a te gradita offre:
s’è vero quel che di te mi si disse,
ed al servizio mio ti porgi,
incarico alto, ed a me caro,
ti propongo per dimostrare
di te, e tuoi natali, il gran valore.


CARLO
Se anche pari fosse, questo compito,
ai tanti ch’ebbe in sorte l’Alcide eroe,
paura non avrei e, forte e lesto,
al volere del mio signore
anima ed essere presterei.


GIOVANNI
Degno è il proponimento tuo,
e lieto fai il tuo comandante
ponendo spada e fede a sua
disposizione. Ad una cerca
vado destinando abilità tua
e tua decisione: d’eroe,
o condottiero, il fiero brando
ti do compito di recuperare.
Il letale ferro che, pari
forse solo a quel del cavaliere santo,
di draghi e pagani fece scempio,
a te richiedo di trovare.
In gran città, qual è Kalmar,
recluso in forte sala esso si siede,
ma alto volere pare essere
che a più fiero fianco faccia scorta.


CARLO
Al mio signore vada ogni gloria
d’impresa che in nome suo
è svolta. Un solo dubbio sull’animo
mio pesa: per il tristo mio caso,
che al sire nostro è noto bene,
la patria mia malamente conosco,
quindi malfermi passi volgerei
alla volta di città di cui mi è data
incerta è limitata cognizione.


GIOVANNI
Da questa tua incolpevole mancanza
non farti dare cruccio più che devi:
grande ricompensa sia la tua
se l’incarico porterai a buon
compimento, ma non minore sarà
per quelli che aiuto ti presta.
(a Birger) L’intendimento mio ora t’è noto,
onesto messaggero di santa voce?
Al signore tuo rifiuto sarà opposto
o soccorso sarà il suo campione?


BIRGER
Tutta limitata scienza mia
a questo cavaliere io presto,
se al grande nostro sire posso fare
in questo modo umile dono.


GIOVANNI
Mi compiaccio di vostra unione
d’abilità e di intendimenti.
Ora che compito vostro è dato,
al fatale momento io mi presto:
andate salutando un duca,
che a tempo di ritorno vostro
un reggente re saluterete.
Ancora non m’è dato d’aver composto
l’animo mio al gran rito che m’attende,
quindi ad alta riflessione ora mi volgo,
ma altre aule frequentando
acchè, forbito servo o altro innesco,
pazienza mia non faccian deflagrare.


CARLO
I santi siano consiglieri di tuo cuore
e mostrino a tuo occhio tua missione.


BIRGER
Il divino padre tua fede faccia salda
e di santi propositi l’animo t’armi.


BIRGER E CARLO
Grande tua maestà faccia lume
agli oscuri giorni di nostra Svezia.


GIOVANNI
Siano gli angeli, e i santi,
su passi e impresa vostra a vigilare.
Benedizioni molte, e speranze
altrettante, su voi possano posare.


(Esce Giovanni)


CARLO
Ed ora che il buon sire
lasciati ci ha fiducioso,
all’opera nostra si volga
intelletto e decisione.


(Escono Carlo e Birger)



Scena IV
Le prigioni del castello di Stoccolma

(Entrano Olaf ed una Guardia)


GUARDIA
Signor mio, nobile duca,
l’intendimento tuo chiaro appare
anche ad un umile quale io sono.
Eppure, giacché d’umile pasta,
e modesto ingegno, m’incorre
d’essere malamente fornito,
l’animo mio barcolla avendo a fare
quanto questo gran signore mi comanda.
Non per mancanza di grandezza
di colui che mi da alta missione,
ma per maggiore grandezza che è
d’altro signore di cui opposto fu il comando.


OLAF
Nondimeno, tu lo dici, gran valore
poni in codesta piccola fatica.
Dunque perché spirito tuo, che
per naturale istinto del pericolo
avverte quando grande sia minaccia
che il prigioniero tuo porta seco,
teme altro che non sia periglio
per quella grande terra ch’è la nostra?
Dal nobile tuo sire temi, forse,
che possa a te venire qualche male?
Di quel signore tanto dolce che,
financo a chi lo spinse a dura lotta
risparmia sofferenza e mal maggiore,
paventi furiosa ira? Di lui che
furioso mai non fu, neppure
avanzando in aperto campo armato?


GUARDIA
Il maresciallo d’arme nostro
bene vede che differenti rami
sono quello mio e quel del prigioniero.
Prossimo al nostro sire egli è
tanto quanto io ne son lontano,
e ciò che fraterna mano frena
a me non è dato d’invocare.


OLAF
Garante mi faccio io, se a te basta,
che danno alcuno t’incorrerà
per questa preziosa impresa.
E come posso, io, far tale promessa
altri ce n’è, che contarli non si può,
che valoroso saluterebbero colui
che da pericoli e timori liberi
il sire che oggi prende corona.
(sentendo passi dall’interno) Inopportuno qualcuno s’appressa.


CARLO
(da fuori) Ero forse io in fallo, o eri tu
a riporre in vano, nel sentimento
tuo, speranza troppo grandi?


BIRGER
(da fuori) E sia, se questo anela anima tua,
lo ammetto mio buon Carlo,
ma rammenta tu chi notizia
di triste sorte incorsa al conte mio
prontamente ti diede.


OLAF
(a parte alla guardia) Andiamo, pria ch’uno giunga,
a condir, del prigioniero tuo, il pasto
con condimento gradito a certi,
che non abbia a dare sapore,
ma abbia a togliere agli occhi il lume.


(Escono Olaf e una Guardia)


CARLO
(da fuori) Ben lo rammento, e diversamente
portarmi non potrei: canuti
ora saremmo se per ogni
puntal replica tua il sole a oriente
una volta fosse sorto,
eppure meno di un’ora sola
trascorse da quando il giusto
sire nostro ci fece congedo.


(Entrano Carlo e Birger)


BIRGER
Abbiamo dunque, noi compagni
in questa nostra regale cerca,
ad essere nemici e rinfacciare
errore l’uno a l’altro, quali
fiere che una all’altro collo
invelenite s’avventano?


CARLO
Pace, compagno mio, pace!
Intendimenti nostri son comuni
e quel che l’uno a l’altro
fa nemici è solo infausta sorte.
Aver da apprendere che
in Kalmar più non siede un conte,
da quando del folle il boia
diede al giusto Anund sua sbarbatura,
ha disposto all’astio il mio cuore.
Poco mi giovò apprendere
che a questo stesso forte era diretto,
della bella città, il gran valore.


BIRGER
Pari al tuo è mio risentimento:
punto ci vale sapere che nostra cerca
ha meta sua là d’onde ne viene,
dato che insania pose a morte
financo suo camerlengo e tesoriere.
Il cercare nostro, da me vanamente
prolungato, nel bianco forziere
di marmo e patrio legno, nulla ci valse
se non ulteriore bile e scoramento.


CARLO
Eppure ora, quali calmi cacciatori,
abbiamo a seguire l’ardua pista
che pure sapevamo ove trovarsi.
Non c’è prova che cosa retta e saggia
sia quando saggezza a follia s’appella,
ma fonte altra di notizia non abbiamo
e, quali viaggiatori che disperati
hanno da bere solo da avvelenato pozzo,
a malsana sorgente scienza nostra,
al limitar di fine sua, va a fare scorta.


(Entra Olaf e resta nascosto in ascolto)


BIRGER
L’avessi saputo innanzi che
impresa nostra inizio avesse,
ai sensi miei non avrei creduto,
eppure, in questo solo correre
del solare astro nell’alto cielo,
due svedesi sovrani avrò incontro.


CARLO
Bizzarri casi sono quelli del fato
che pone nell’inferma mente
del maggiore, tante volte maledetto
quanti sono di patria nostra forti
e porti, notizia che al minore,
di tante benedizioni indirizzo
che il Paradiso stesso avrebbe a muove
alla volta della terra per darvi seguito,
diano in dote la santa reliquia
ch’egli giustamente merita e cerca.


OLAF
(a parte, non sentito dai due) Quale prodigio mai è questo,
che manda due giovani a cercare,
dalle fredde labbra d’un defunto,
notizia per quello che si va
a incoronare santificato sovrano?


BIRGER
Già che lo nomi, su quel santo brando
m’incorre una domanda: l’onesto
Frate Svante, che bene lo studiò,
ebbe lungamente a tormentare
il saggio saper suo e, spesso,
in sua domenicale funzione
ebbe modo di parlare di quel
guerresco e santo ferro.
Io, giovanetto, a udire le vicende
del normanno eroe e di Olof,
gran sovrano, attento mi facevo
come segugio che la preda
fiutata ed inseguita punti.


CARLO
Ben lo comprendo: io parimenti,
in gioventù mia, similmente mi portavo
quando il precettore, ch’un filosofo era
di norvegese schiatta, della paterna
casa mia in Goteborg, della fiera
antica e santa lancia narrava
nascita sua e santissimi natali.
Or che di questo caso si va narrando,
m’incorre di ricordare antico conto:
se ai remoti cronisti si da credito,
quella c’era di Olof, prima fu
del cavalleresco Giorgio, grande
e santo, che dal romano l’ebbe
ad aver per tortuose vie...


BIRGER
Ben l’intendesti, la storia, dal
precettore tuo, come io l’intesi
da quello che fu mio e non solo.


CARLO
Tu dunque ti domandi
quello ch’io stesso mi domando?
Ha del Longino ad essere
il sacro ferro che, per nostro re,
andiamo vanamente ricercando?
E il sovrano nostro, ch’è a noi,
per saggezza e sapienza, ben maggiore,
ha, per questo, noi posto a cerca
che cento volte più santa è
or che vero nostro cercare
chiaro e santissimo c’appare?


OLAF
(a parte, non sentito dai due) Bene intende l’orecchio mio?
Dal sovrano, cui io feci dono
del torbido e forte fiele,
vanno costoro cercando sapere
che, a reliquia tanto santa,
portarli lesti potrebbe
per dare pronto seguito al volere
di quel che grande fa già Svezia?


BIRGER
Quale gallese equipaggiato
del forte loro legno, il centro
di mio pensiero e cruccio ben
l’incogliesti e trapassasti.


CARLO
E dunque cosa ci frena,
ora che ci è dato nuovo sprone?


BIRGER E CARLO
(chiamando) Guardia! Guardia!


(Entra la Guardia, cui subito si affianca Olaf rivelandosi come fosse arrivato assieme alla Guardia che se ne stupisce)


OLAF
(alla Guardia) Avevo dunque inteso bene,
buon soldato: delle voci venivano
da questo tuo posto di scolta.


GUADIA
(ad Olaf capendo ed assecondandolo) Il buon signore mio pare
fresca recluta dal chiaro orecchio.
(a Carlo e Birger) Chi sono i signori miei
Che, a questo tristo luogo affari loro
portano, in giorno che in Svezia
è di grande e lieta festa?


CARLO
Due onesti figli di onesta terra,
noi siamo, sudditi devoti che al
comandamento di buon sovrano
rispondono lesti, come i dardi
che rispondono al comando
di forte e implacabile balestra.
Assolvendo a richiesta che viene
di volontà che assai maggiore è
di quella che è la nostra, all’infausto
cospetto del despota deposto
ci troviamo a doverci recare.


OLAF
Allora, buona guardia, lascia costoro
prontamente passare: a loro cedi il passo
come fosse, per mezzo loro,
che al sire tuo umilmente lo cedessi.
Che abbiano libera via coloro che
il grande nostro signore onestamente servono.


CARLO
(a Olaf) Se bene m’è dato di intendere,
gentile e nobile signore, il maresciallo
di campo di nostro sovrano qui trovo,
e uno migliore, per prontezza e
cortese animo, egli non potrebbe avere.


OLAF
Ed io, dal quel che si dice, sono
al cospetto di quelli che, della
nobile stirpe di Goteborg degli Sture,
va facendosi nuovo e proprio nome.
M’onora aver modo d’incontrare
il giovane di cui tanto si parla,
ma non sia io Nausicaa a trattenere
l’errabondo Ulisse in sua cerca
arditamente intento. Se del folle
prigioniero di questa guardia
t’occorre di condividere malsana
sua scienza, affretta i tuoi passi,
ed anzi permetti ch’io anche
t’accompagni ed abbia ad aiutare
tuo valore in nobile gesta.


GUARDIA
(a parte ad Olaf) Signor mio nobile e giusto, quel
pasto che, col sangue letale di doloroso
fiore e frutto, mi diceste di condire,
va ad essere tosto assunto
da quei che ammorbò terra nostra.
Intende, la sua cara signoria, assistere
allo spettacolo triste che è la fine
liberatoria di malata mente,
che dal fiele ha da provenire?


OLAF
(a parte alla Guardia) I vasti e magnanimi cieli
hanno deciso che il buon Giovanni
nel giusto si trovasse con sua
solenne e magnanima decisione.
Non per assistere ad una fine
affretteremo i nostri lesti passi,
ma per quella morte impedire
che il Diavolo stesso mosse mano
a quelli che di diavoli si fece mezzo,
ma i santi danno un nuovo sprone
a far cosa santa da cosa guasta,
e dunque quella che fu mia decisione
si conformi a quella che viene
d’alta sfera e sovrana autorità.


(Escono Olaf e la Guardia)


BIRGER
(a parte a Carlo) Invero è dato a dire che natali
alti quanto i tuoi sono salvacondotti
per molteplici porte e guardie
quali i miei, ben più umili e modesti,
non sono né mai saranno.


CARLO
(a parte a Birger) Se il nobile uomo là oltre
scortese ti pare per modo suo
ch’ebbe d’ignorare uno e, solo
all’altro, ebbe di dare cognizione,
sappi che ben comprendo tua
condizione: in primi anni di presenza
sul polacco forestiero suolo,
financo quando il lignaggio mio
all’interlocutore era ben noto,
m’incorreva d’essere considerato
al pari del fumo e delle ombre,
quali fossi pur non essendo
ed essendo non fossi. Ignora
quindi chi malamente si porta,
e continua a ponderare ciò
che è alta missione nostra.
Andiamo, quindi, e seguitiamo,
apprestandoci a parlare con chi
del senno perse lume
e di re perse corona.


(Escono Birger e Carlo)



Scena V
Un’altra sala delle prigioni del castello di Stoccolma

(Entrano Olaf e una Guardia portando Erik)


GUARDIA
(a Olaf) Mio signore, perdona mio lento passo:
non fosse per te stato, la malevole
sorte a questo sciagurato avrebbe
di colpe sue tutte presentato somma
e vita sua avrebbe preso a pagamento.


OLAF
(alla Guardia) Segrete sono le vie che percorre,
come chi misfatto seco porta,
l’alta volontà dei bianchi cieli,
e quando essa chiara si manifesta
a quelli che, in santi e angeli,
speme ripone non resta ch’affidarvisi
sapendo che coloro che là siedono
visione hanno di nostre cose
maggiore che si ha noi di noi stessi.


ERIK
(canticchiando) Quale mirabile prodigio fa natura
a quei che guarda tutto il mondo
privo di viltà, con luce pura,
e meraviglia cerca in ciò che è tondo.
(canticchiando a Olaf) L’animo vile non se n’avvede
che rotondità fe’ cosa bella,
e stanco e cieco mollemente siede
e ad ignoranza paga sua gabella.
(canticchiando alla Guadia) Vossignoria ha sguardo fiero,
che segno chiaro è di gran discernimento,
e ben l’intende che mio sapere è vero
e ben vedrebbe se foss’io che mento.


(Entrano Carlo e Birger e questi trattiene l’altro a parlare in disparte)


BIRGER
(a parte a Carlo) Buon Carlo, il nobile spirito tuo
che, quale imperatore di grande regno
che siede a rimirare il mondo di
sua loggia, per i fieri tuoi occhi apprende
ciò che accade a lui d’appresso,
non abbia a cedere passo e senno
a collera per quello che, miserabile,
senno ebbe a perdere per primo.
Ben rifulgono, come la lucifera stella
fa avanti al giorno, bontà e carità
in animo tuo, che tiene oneste virtù
al pari di medaglie al petto appunte.


CARLO
(a parte a Birger) Tu, compagno mio in questa impresa,
temi forse che io abbia a farmi
servo pronto di nera viaggiatrice,
che una volta sola visita l’uomo
in sua esistenza? Temi che abbia in animo
di fare per me giustizia di quello che,
in nome di giustizia, della fiera
pianta di cui discendo fece scempio?
Ebbene, quel che i saggi dice è
spesso vero: quelli di cui i maggiori
non si curano, per lo sdegno di chi ha
da essere grande, visione hanno
più grande, e comprensione hanno
più vasta, di quello che, per gli occhi
del mondo, essi ignorano. Ben vedi
la fibra mia fremere al di lui
cospetto. Ben l’intendi, tu, la mano
mia che al fiero brando va incontro,
ma non crucciarti: muovesi,
ella, di volontà propria che, però,
minore è di quella mia vera,
e mai capace potrà essere di
sovvertire mia onesta e chiara
natura che m’impone magnanima
propensione verso quelli che,
disgrazia e cielo, fece meno alti.


OLAF
(a Carlo) Ecco colui che Svezia nostra
volse a disgraziata terra mano mano
che, in suo animo, i giorni di follia
prendevano ad aver numero
assai maggiore di quelli che
di senno aveano il chiaro lume.
Erik Decimo Quarto, che la regale
pianta di padre suo Gustavo
primo adornò, con fecondo frutto,
e che pure ebbe a dimostrare
che anche il frutto gagliardo e bello
l’odioso tarlo può sempre ospitare.


ERIK
(rivolto ad un punto vicino al suo volto) Bella luce che danzi intorno
rivela natura tua primeva: fatuo
fuoco fosti? O favilla di stella caduta
dall’eteree volte di chiaro cielo?
(alla Guardia) Eppure, v’è chi dice che,
quando una stellare figlia dal cielo
prende e si distacca, dietro al calcagno suo
subito si lancia una minuta megera
di quelle che i sortilegi tesse
del popolo piccolo di grandi leggende.
(rivolto ad un punto vicino al suo volto) Se malia hai in tua mercede,
minimale praticante dell’arcano,
appressati, e se io coglierò il nome
tuo vero, sapienza tua dovrai
cedere in cambio di tua libertà.


CARLO
(attirando l’attenzione di Erik) Nobile, quale tu fosti un giorno,
fatti nuovamente al cospetto
di quelli che nobile volontà servono...


ERIK
(tra sé, fissando Carlo) Occhi stretti si dice essere
di doppiezza e furtività segno.


CARLO
(a Erik, ignorando l’interruzione) Ritorna, con l’occhio tuo,
ai dì in cui, fievole lume che
al primo soffio d’infante vacilla,
il senno spento ancora non s’era...


ERIK
(a Olaf, parlando di Carlo) Solo a me pare o, simili
al vitale crine della gorgone,
la bionda chioma sua da sé
movimento si da anche senza vento?
(non avendo risposta da Olaf, alla Guardia) Che d’è? Il solo nominare
la venefica e funesta criniera
lo fa quale una marmorea statua?


GUARDIA
(ad Erik) Nobile signore, credo che orecchio
prestare dovresti a quello che
il fiero giovane ha da chiederti.


ERIK
Se orecchio prestassi a chicchessia
come potrei intendere l’altrui favella?
Il naso forse, un piede certamente,
a nolo potrei darli, ma l’auricolare
padiglione che guida fa ai suoni
che pigione mi darebbe che compensi
il non udire l’altrui intenzione?


CARLO
(riguadagnando l’attenzione di Erik) Un degno figlio d’alto padre,
quale tu fosti, ascolto presterebbe
a quel che a lui chiedono foresti...


ERIK
E che vanno dunque chiedendo
coloro che del ligneo popolo son parte?
O sono di quei che d’erba, e
di fungina famiglia, hanno natali?
Mi par d’aver udito che messi,
di quelli che la foglia veste lievemente,
in viaggio fossero verso l’avita magione.
(a Birger) Nils mio, buon camerlengo,
quand’essi a giungere avessero
alle porte nostre, fa loro preparare
d’acqua di fonte un ditale,
affinché loro sete abbia a placarsi,
e fa tritare una castagna, per
mitigar lor fame per il lungo viaggio.
(a Olaf e la Guardia) E dite, gran signori, che pari
n’hanno pochi in danese terra,
quali nuove d’Elsinore? In salute
resta, l’augusto vostro re?
Invero me ne dispiaccio: quale
gran dono a farsi sarebbe,
a un galantuomo di quelli
di mia schiatta, notizia di sua fine?
Ad uno dei rami di suo invernale
giardino, gradito frutto alle
svedesi genti, potrebbe pendere
maturo e pronto da cogliere.


CARLO
(a parte a Birger) Ben l’intendesti, buon maniscalco?
In occhi suoi, orbi al mondo,
ebbe a vederti quale suo camerlengo.


BIRGER
(a parte a Carlo) L’intesi, ma giovamento alcuno
vedo di questa nuova scienza nostra,
ed anzi, con licenza, a rammentare
antichi costumi m’affretto e,
allor che a un morto assimilato
fui, infausta fine ben rifuggo.


OLAF
(alla Guardia) Di ogni insano pensiero che
sconvolto suo cervello ebbe in sorte,
invero almeno uno c’è che anche i savi
a condivisione muovere potrebbe.


CARLO
(a parte a Birger) In te ravvide quei che,
maggiore ad altri che prestavano
affabile servizio tra le bianche mura,
a lui più prossimo d’ognuno era,
di bocca sua sola traeva comando,
e di prezioso ferro aveva notizia.
E se quella decolla testa a lui
tornasse a chiedere e dare conto?


BIRGER
(a parte a Carlo) Ardiresti dunque a dare
proditorio tuo supporto a
follia sua per trarne giovamento?
E sia, mio acuto compagno:
si faccia di follia arma
contro follia stessa volta.
Ma tale ardito intento tuo
preparazione alcuna, seppur
minuta, abbisogna, e quindi si vada
a far che, senza gran costume,
due viventi si facciano uno spettro,
per ingannare ingannati sensi.


(Escono Carlo e Birger)


GUARDIA
(a Olaf) Mio buon signore, che caso è
questo che, quale orrorifica visione,
tanto lesti lontan quei due mena?
Di ciò che questo disse non s’intende
senno che piede avesse a fare lesto.


OLAF
(alla Guardia) Parer potrebbe quasi, se così
certamente non fosse, che la cerebrale
febbre, che a questo scellerato saggezza
tolse, abbia avuto agio a contagiare
quelli che il senno ancora tiene.
Ma eccoli che tornano tanto lesti...
E della calce il colore preso
hanno i visi loro e loro vesti...


(Entrano Carlo – che va a mettersi di fronte ad Erik – e Birger che lo segue, nascosto dietro il suo corpo, tenendo la testa appoggiata sulla mano di Carlo, che la tiene come avesse un elmo al fianco)


ERIK
(urlando alla vista della testa di Birger) Oh angeli del cielo!
E santi tutti in corte giunti,
quello che morto era si ripresenta
latore di oscuri segreti quali
la morte sola ha da dare scienza.
(a Birger, compassionevole) Non più uno, caro Nils,
come in vita fosti, ma in parti diviso,
come il boia tenne giusto fare per
compimento porre a suo dovere.


BIRGER E CARLO
Il sire mio alto tenga quello che
a suo dovere mai osa mancare:
financo ora che di testa il collo mio
s’è disadorno, al suo comando mi
vengo a presentare. Disponi,
signor mio, come tu credi, che,
per parte mia, i compiti saranno
assolti e volontà sarà volta ad azione.


GUARDIA
(a parte a Olaf) Dunque quel che cerusici
crederono accadere non potesse
ebbe a farsi fatto? Follia a trasmettere
s’ebbe? Quelli che parevano giovani
di chiaro intelletto, si fanno scellerati
ed al folle prestano diletto?


ERIK
La fredda lama, ch’ebbe a lambire
dimora di tuo discernimento,
ben ti fece giacché in vita lesto
sempre meno fosti che in morte.


BIRGER E CARLO
Pronto mi porto, quale solo è chi
tempo poco ha prima che destino
suo abbia a darsi a conclusione.
A riferire vengo che non tutta
quella ch’era volontà tua ebbi
a fare a piena forma prima che
sovrana ira ebbe a farmi quale sono.


ERIK
Di che parli? Di che vai cianciando?
Anche in nero lutto l’anima tua
servile si porta, com’è giusto, ma
notizia reca di mancanza sua?
Vergognoso fosti molto in vita
ed ora che, in mortifero sudario
t’avvolti, spudorato ti fai?


BIRGER E CARLO
Non spudorato, ma mite, e onesto,
a riferire supplice di mia colpa:
del gran tesoro che di Kalmar venne,
disposto tutto non fu come il
signore nostro deciso s’ebbe.


OLAF
(a parte alla Guardia) Arguzia si fece di follia manto,
e tanto forte è l’ingegnoso capo
che, financo chi saldo ha suo senno,
in tranello teso, distratto, si pone.


ERIK
Quale ultima tua colpa riveli,
ora che dai vivi nulla più temi?


BIRGER E CARLO
Quella che, preziosa ed eroica reliquia,
della forte città a noi pervenne,
ebbi a perdere di mia cognizione,
tanto sovrana volontà a comando
mi tenne. Eppure, ora che altra
e nera sovrana m’incorre di servire,
mi fu concesso di rimedio porre
a mia mancanza. Sia dunque ancora
in me tua decisione, e d’oltre
quella che fu mia tomba, io disporrò
acché quel che l’animo tuo volle
fatto sia come aveva ad essere.


ERIK
Che vai dicendo, visione scellerata?
Il capo tuo, che smarrito ha il corpo,
memoria sua del pari ha perso forse?
Cento volte vidi il lucente ferro
ornare degnamente il chiaro marmo
che, del primo suo padrone, forma
assunse in momento di suo cimento.
Là, nella guerresca sala d’onde
i messi ai generali lesti muovono...


(Escono Carlo e Birger, precipitosamente e senza dire una parola)


OLAF
Quel ch’era in loro bisogno
scoprire, i nostri arguti segugi
trovato l’hanno. Libertà di
questo scervellato ha termine
suo dunque. Tuo dovere fa, vigile
guardia, rendendo a comoda sua forte
dimora quello che il sire nostro
decise avesse sbarre per pareti,
e sii lesto a perdere memoria
di quello che qui oggi non accadde,
che l’accorto smemorato avrà
compenso ch’era stato concordato
per servigio che a fare non s’ebbe.
Per conto mio, curiosità in animo
mio si pose, e di questa cerca
misteriosa vo a scoprire conclusione.


GUARDIA
Non tema il signor mio la memoria
mia fallace: ciò che non accadde
non lasciò traccia che mente savia
abbia a conservare. Quanto
all’ospite mio che tanto curo,
già ben lo vedo perso nuovamente
in suoi febbrili vaneggiamenti,
quindi male non n’avrà a fare
quei pochi passi che da ferrea casa
l’hanno a discostare.


(Escono la Guardia ed Erik da una parte e Olaf dall’altra)



Scena VI
Il salone delle udienze del palazzo reale di Stoccolma

(Entrano Giovanni – incoronato –, Olaf, Carlo, Birger, Caterina e nobili del seguito)


GIOVANNI
Qual è l’uso del giusto oste, che non trae
di altrui vinifica opera suo orgoglio,
signori gentili, che sorte e cielo volle
in questo lieto giorno testimoni
di pace e gran successo, a voi
io rendo lode prima che a me stesso:
senza l’abilità vostra, i prodigi molti
di questo fausto giorno non sarebbero.


CATERINA
L’aureo cerchio che t’incorona
delle svedesi genti degno sovrano,
non altri potrebbe in capo tenere,
è dunque opera giusta e buona,
al nostro nuovo re, rendere lode.


OLAF
Opera nostra, buon signore, a nulla
varrebbe se minore fosse mai
la guida che serviamo, non sia, quindi,
eccessivamente umile l’animo tuo,
che i grandi cieli incoronato vollero.


GIOVANNI
Come gli antichi sovrani, nel momento
di prendere corona e ricevere di vittoria
l’agognato frutto, comando regale do
che al “Te Deum” sia data voce
in ogni chiesa di Stoccolma,
e sia dato ordine, a quei che conio batte,
che la regale effigie mia, in oro,
circondata sia del templare motto
“Non nobis domine”, che a noi
faccia memoria che, quella ch’è
terrena gloria, nulla vale al cospetto
dei celesti. E onori siano resi
a quelli che, sopra quei che
maggiori a loro sono, misero ingegno
a nobile impresa e fecero dono
santo a quello che li guida, e ha
da render loro quel che loro spetta.
A quello che di Goteborg venne
di Polonia venendo, quello che
fu suo sia nuovamente, e a quello
che, maniscalco, venne a far prodigio,
sia data, della bella sua Kalmar,
autorità e giusto appannaggio.


CARLO E BIRGER
Come il sire nostro, giustamente,
a dire s’ebbe, “Non nobis domine”.
E parole queste siano, in pietra
e inchiostro, fatte e siano motto nostro
e di quei che di noi discende.


(Entra un Servitore)


SERVITORE
Ai nobili signori, che il cielo
grandi fece di nascita e d’imprese,
di saggezza e di pazienza, non risulti
invisa mia fugace presenza. L’opera
che ci si affidò noi, servi loro,
svolgemmo. Opera nostra è fatta,
e gradita speriamo vi risulti.


BIRGER
L’umile che, onesto, fa sua parte,
plauso si guadagna onestamente.


CARLO
E quello che lui plaude ha animo
nobile, e benedizioni n’ha sentitamente.



Sipario

domenica 25 gennaio 2009

Una lancia pronta da esporre

Ho finito!
Ho finito di scrivere e di rivedere il testo de "La lancia di Sigfrido".
La stesura l'ho terminata venerdì prima di cena, ma la revisione ha richiesto un po' di tempo (specie se si considera che sabato non ci ho lavorato e stasera ci ho messo mano solo verso dieci...).

Domani devo trovare il tempo di mandare il testo completo ad un po' di gente che mi ha chiesto di leggerlo... spero di avere un po' di tempo in pausa pranzo in ufficio.
Vedremo...

Per ora, mi prendo un po' di tempo ancora per gironzolare in rete e poi vado a letto.

Ed intanto continuo a lavorare all'idea del mio secondo atto unico... ma questa e' un'altra storia...

domenica 18 gennaio 2009

Ora tarda per "La lancia", ma non si sa mai

Ok, sono un pazzo... ma questo chi mi conosce già lo sa.
La novità sta nel fatto che poche volte sono stato in vena creativa come in questo periodo.

La settimana scorsa, martedì, abbiamo cominciato a studiare "le Shakespeare" con Aldo ad improvvisazione ed un piccole surreale demone si è impossesato di me: alla fine della lezione, ci sono stati assegnati un paio di possibili compiti da svolgere per prendere la mano con lo stile, uno riguardante la costruzione di un dialogo ed uno riguardante la costruzione di una storia alla maniera di "Gugliemo"; per quanto riguarda il compito sul dialogo, a me è stato esplicitamente detto di non farlo, mentre quello sulla storia non mi è stato precluso, quindi ho deciso di fare quello.
Il problema è che, avuta l'idea per una storia che potesse essere strutturata come una "Shakespeare", mi sono fatto prendere la mano: ho progettato, e cominciato a realizzare, una commedia (un atto unico che ho intitolato, per ora, "La lancia di Sigfrido") sulla base della storia che ho scritto.
Certo, non mi sto curando troppo della metrica (l'endecasillabo sciolto non è il mio cavallo di battaglia, ma poco importa: in italiano le opere del Bardo perdono quella rigorosa poetica che l'autore ha dato loro in lingua originale e che sarebbe un'impresa disperata cercare di ricostruire fedelmente in un'altra lingua), ma non si può dire che non stia facendo un lavorone... La Barbareina ed il Doc erano stupiti già a metà della prima scena e la reazione di Fhede non è stata da meno.

Visto che sono un pazzo scriteriato, ho deciso di darmi da fare e completare il tutto per martedì sera: chissà che qualcuno non la trovi una cosa divertente da leggere.
L'ora non è propriamente delle più adatte, ma chissà, magari potrei scrivere una scena o due prima di andare a letto... o magari potrei decidere di cominciare a mettere nero su bianco qualcuno dei progetti narrativi che ho in cantiere da molto più tempo: ora che sono preso dal raptus delle dita sulla tastiera, sarebbe quasi un peccato non dare seguito allo slancio creativo...

lunedì 12 gennaio 2009

Letture teatrali

In queste settimane, da Natale in qua, in cui siamo stati fermi con il corso d'improvvisazione avevamo dei compiti da fare: Aldo, il nostro insegnante (che si è visto prolungato l'ingrato compito di doverci istruire per ancora alcune settimane con - a sentir lui - sua malefica soddisfazione... che però corrisponde anche a nostra divertita gioia... miracoli strani che accadono nel mondo!) ci ha lasciato con una serie di letture da fare per prepararci a quello che ci attende nelle prossime settimane.
Dal Sogno di una notte di mezza estate a MacBeth, da Pirandello ad Antigone abbiamo avuto di che spaziare per i generi del teatro classico.

Abbiamo avuto... beh, diciamo che tra le feste, il Cantiere e tutto il resto, il tempo è volato abbastanza rapidamente ed io mi sono ritrovato (non perchè fosse tanta la roba da leggere: per una mia ostinazione ed un puntiglio che mi hanno spinto a leggere le opere intere invece che limitarmi ai brani consigliati...) con ancora un po' di cose da vedere. Per fortuna, oggi mi è corso in aiuto il lavoro.

Capita a volte di avere delle giornate, al lavoro, come quella che mi è toccata in sorte oggi: giornate in cui la mia attività principale viene sostituita da una cosa semplice, poco impegnativa, ma lunga e noiosa. Oggi mi tocca imbustare delle lettere... mi tocca imbustare qualcosa come duecentocinquanta lettere!
Imbustare non è un lavoro difficile, anzi, ma il problema è che non ti consente di fare altro: non puoi programmare in SQL se hai entrambe le mani impegnate (anche se con il pilota automatico inserito) a mettere fogli dentro delle buste. Puoi, al più, leggere qualcosa a video, meglio se qualcosa che non richieda di cambiare pagina tanto spesso in modo che tu possa imbustare diverse lettere prima di dover pigiare un "Page Down" e riprendere.

Ecco che i file delle cose da leggere mi sono quindi venuti comodi, tanto che prima di fermarmi per andare a mangiare qualcosa, più o meno a metà della mostruosa pila di scartoffie, mi ritrovo ad aver letto - oltre a due capitoli di un libro sulla programmazione SQL, molto tecnico e devastantemente soporifero se non si associa alla possibilità di fare delle prove... - l'ultimo atto del MacBeth, quattro atti unici di Pirandello e mi appresto a leggere due versioni dell'Antigone (quella di Jean Anouilh suggeritaci da Aldo e quella di Sofocle, che mi sono procurato da me e che mi aveva suggerito anche Fhede).
Sinceramente, non so se riuscirò a finire le letture prima delle lettere (mamma mia che gioco di parole!!!), ma comunque sia, direi di essere riuscito a rendere doppiamente proficua una giornata lavorativa che rischiava di essere mortalmente noiosa...